L'illusionista
Titolo originale: The Illusionist
Gran Bretagna, Francia: 2010. Regia di: Sylvain Chomet
Genere: Animazione
Durata: 80'
Interpreti: Voci: Jean-Claude Donda, Edith Rankin, Jil Aigrot, Didier Gustin, Frédéric Lebon, Tom Urie
Sito web ufficiale: www.lillusionniste-lefilm.com
Sito web italiano:
Nelle sale
dal: 29/10/2010
Voto: 7
Trailer
Recensione di: Francesca Caruso
L'aggettivo ideale: Nostalgico
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Sylvain Chomet, l’acclamato creatore di Appuntamento a Belleville, nominato agli Oscar 2004, si è ritrovato ad affrontare una nuova ed entusiasmante sfida. Chomet ha voluto riportare in vita la magia dei film di Jacques Tati, realizzando una sceneggiatura originale dell’autore, rimasta negli archivi de Le Centre National de la Cinématographie per troppi anni.
L’illusionista è stato scritto da Tati tra il 1956 e il 1959, poi decise di non farne un film, forse perché lo toccava troppo intimamente. Era un film che andava in un'altra direzione rispetto a quello che era solito fare e per cui la gente lo conosceva. La sceneggiatura ha in sé una miriade di sentimenti e tutti vanno in una specifica direzione: lo scorrere inesorabile del tempo e di come le cose che ci circondano possano cambiare e noi cerchiamo di rimanere il più a lungo possibile ancorati al passato.
Il film racconta la storia di due solitudini che si incontrano e trascorrono del tempo come fossero padre e figlia. Un anziano intrattenitore è costretto a vagare di città in città in cerca di un ingaggio, di un luogo dove poter fare i suoi numeri di magia. I tempi stanno cambiando e il pubblico cerca nuovi intrattenimenti. Tra le varie tappe si ferma in un paesino della Scozia in cui viene accolto con i migliori riguardi. Fa amicizia con Alice, una ragazzina del posto, che rimane estasiata dalle sue magie e decide di seguirlo nei suoi spostamenti. I due si trovano subito bene, lei è all’inizio del viaggio della vita, lui farà di tutto per accontentarla.
L’illusionista profuma di quella magia, grazia ed eleganza che sapeva infondere Tardi nel suo lavoro. Chomet ha enfatizzato attraverso i disegni l’essere sottile, divertente, fantasioso, che lascia allo spettatore un sapore agrodolce degno di lode.
È un film straordinariamente penetrante, nel quale ci si immerge completamente, pur senza dialoghi, almeno non riconoscibili, utilizzati come ulteriori rumori di fondo. Colui che guarda riesce a comprendere più di quanto si possa dire con le parole.
L’uso che si fa del suono caratterizza le immagini contribuendo a dare uno spessore che hanno già insite in loro. Chomet afferma che il fatto che non ci sia dialogo fa si che lo spettatore si soffermi di più a capire la personalità e la profondità del protagonista.
Un aspetto importante delineato nella storia è quello della fine di un’epoca, non solo la fine dei music hall, ma con essi la fine di un certo modo di intrattenere il pubblico, che va alla ricerca della novità, di qualcosa che li stravolga maggiormente rispetto a un coniglio che sbuca dal cilindro.
A proposito di conigli, Chomet ha inserito un coniglio con delle caratteristiche molto umane.
È una creatura un po’ cattivella, morde, brontola, si mangia delle salcicce. L’affetto per l’illusionista è sincero, ma non ama molto essere infilato nel cappello.
Il tema portante sviluppato parallelamente al suddetto è il rapporto padre-figlia che si instaura tra l’anziano intrattenitore e Alice. Condividono insieme le piccole vicissitudini quotidiane, prendendosi cura l’uno dell’altro. In una sequenza, in particolare, si vede come Alice si dia da fare non solo per l’illusionista, ma prepara il pranzo anche per il clown e per il ventriloquo, mostrando una sorte comune. Sono tutti e tre personaggi fuori dal tempo, un gruppo di artisti alla disperata ricerca di una platea, se pur piccola. Nel momento in cui si vede in una vetrina il pupazzo del ventriloquo in vendita, si comprende che il cambiamento è avvenuto e non si può tornare indietro.
L’illusionista non è caduto così in basso come i suoi colleghi e questo grazie alla vicinanza di Alice, che lo osserva ancora, come il suo pubblico fino a poco tempo fa, con stupore. La sua più grande magia è la trasformazione di Alice, che da ragazzina trasandata sboccia lentamente in una signorina che si cura di sé. Una volta completata la trasformazione l’illusionista la lascia libera di seguire la propria strada, che deve scegliere da sola. Questo è il più grande dono che un individuo possa fare.
Molti sono i momenti dolceamari che Sylvain Chomet regala allo spettatore, pura poesia, che vola nell’aria.
La musica, scritta da Chomet, è evocativa, spesso ha un tocco circense, come nelle intenzioni dell’autore.
L’epilogo è confezionato di sola musica, posta come conclusione emozionale. Nell’intento del regista la musica vuole essere la voce interiore del protagonista, sono le sue emozioni.
Per ciò che riguarda la tecnica d’animazione Sylvain Chomet ha preferito utilizzare il disegno a mano, in quanto secondo lui, e non solo, questa tecnica conferisce “un fascino eterno all’arte, la sua forza risiede nel fatto che vibra, cambia, non è mai uguale ne perfetta, esattamente come la realtà”. Queste immagini hanno uno straordinario potere visivo, sono morbide e hanno un no so ché di magico. Bisognerebbe riscoprire il piacere dell’animazione classica, che ha in sé eleganza e stile, lo stile unico del suo autore, di volta in volta. Ogni disegnatore apporta ai suoi disegni qualcosa di sé.
Per l’ambientazione Chomet ha scelto Edimburgo, ha voluto che fosse riconoscibile e autentica, così si è prodigato in una lunga e accurata ricerca per creare la città com’era negli anni ’50.
Inoltre Chomet ha voluto che la macchina da presa si soffermasse sulle varie situazioni che via via si susseguono, senza metterci troppi movimenti per dare allo spettatore la sensazione di trascorrere del tempo con l’illusionista e i posti che frequenta.
Per dare vita a L’illusionista ci sono voluti 5 anni e per il regista è stato un atto d’amore per chiunque sia stato coinvolto.
È un film eccellente, che parla al cuore di ognuno, facendolo con grazia e dolcezza, non si può rimanere indifferenti di fronte a un’opera tanto bella.
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