Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo
Titolo originale: Indiana Jones and the Kingdom of the Crystal Skull
USA: 2008 Regia di: Steven Spielberg Genere: Azione Durata: 126'
Interpreti: Harrison Ford, Shia LaBeouf, Cate Blanchett, Ray Winstone, Karen Allen, John Hurt, Jim Broadbent, Alan Dale, Joel Stoffer
Sito web: www.indianajones.com
Nelle sale dal: 23/05/2008
Voto: 6
Recensione di: Nicola Picchi
Come definire “Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo”? Forse una tardiva operazione di ripescaggio, che girovaga senza troppe ambizioni (e ancor meno convinzione) nell’immaginario cinematografico dell’ultimo quarto di secolo con la solerzia non troppo convinta del mercante di cianfrusaglie che si aggira per la Xanadu di Charles Foster Kane, riportando con sé oggetti di poco conto usurati dal tempo, un’Arca dell’Alleanza dimenticata dentro una cassa, o una frusta e un Fedora, ridotti però ad icone polverose. O forse il risultato della forza dirompente dell’effetto nostalgia che, abbinato alle logiche di mercato, ci ha già offerto i due pensionistici quanto coraggiosi autodafè di Stallone, e che ci minaccia con un imminente “Terminator” e con un nuovo “Highlander”?
Spielberg ambienta l’ultima avventura del professor Jones in tempi di Guerra Fredda, con l’inevitabile corollario di russi cattivissimi, tra cui un’impagabile Cate Blanchett nei panni della sensitiva Irina Spalko, piramidi maya e alieni di Roswell (direttamente dall’Area 51), costruendo un vero e proprio ipertesto cinematografico denso di riferimenti ai precedenti capitoli della serie. Allo stesso tempo, nonostante la superfetazione iperbolica di situazioni già viste, che già costituivano un vero e proprio canone codificato, sembra clamorosamente deficitario l’aspetto strettamente ludico che era il tratto distintivo della trilogia. I diciannove anni che ci separano da “Indiana Jones e l’ultima crociata” non sono trascorsi invano, e anche Spielberg appare meno coinvolto ed interessato nella costruzione del suo giocattolone, il quale ogni tanto rischia di perdere i pezzi strada facendo e di diventare l’epitaffio, anche un po’ malinconico, di un tipo di cinema “d’avventura” ormai non più praticabile, se non addirittura estinto. Naturalmente il regista rivisita con garbata ironia le paranoie americane degli anni ’50, dall’anticomunismo di stampo maccartista dell’FBI all’ossessione per gli UFO, dalla guerra atomica ai russi che sembrano usciti da “Tin Tin nel paese dei Soviet”, e che progettano di praticare il lavaggio del cervello agli onesti cittadini americani, ma la sceneggiatura di David Koepp appare inutilmente verbosa oltre che carente sia dal punto di vista logico, che da quello della caratterizzazione dei personaggi.
Siamo senz’altro grati per averci restituito la Karen Allen de “I Predatori dell’Arca Perduta”, con tanto di sorpresa telefonata al seguito, anche se siamo un po’ meno lieti dell’improponibile Shia LaBeouf che marlonbrandeggia a ruota libera, ma dove sono gli arguti scambi verbali a cui eravamo abituati?
L’umorismo è delegato non tanto ai dialoghi e alle situazioni, quanto all’interpretazione, ai sogghigni e alle smorfie autoironiche di un Harrison Ford ancora in forma, il quale riesce comunque ad imporsi con sufficiente carisma da tenere testa alle numerose cadute di ritmo e di tono o al prevedibile diluvio di effetti digitali.
Nonostante tutto il film ci regala almeno una scena indovinatissima, ovvero la fuga cartoonesca di Indiana Jones da un villaggio nel Nevada abitato da manichini, poco prima di un test nucleare, ed un’immagine indimenticabile: la silhouette di Indy contro il fungo atomico, vero monumento funebre ad un mito che si appresta a scomparire nel passato, mentre il mondo entra in una nuova era.
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