Titolo: Brotherhood of Blades
Titolo originale: Fei Yu Fu Xiu Chun Dao
Cina: 2014. Regia di: Lu Yang Genere: Azione Durata: 106'
Interpreti: Chang Chen, Cecilia Liu, Wang Qianyuan, Ethan Li, Nie Yuan, Chin Shih-chieh, Marina Ye, Zhou Yiwei, Dani Zhu, Zhao Lixin
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Nelle sale dal: Inedito
Voto: 7
Trailer
Recensione di: Nicola Picchi
L'aggettivo ideale: Crepuscolare
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1627, tarda dinastia Ming: il giovane imperatore Chongzhen decreta l'allontanamento da Pechino dell'eunuco Wei Zhongxian e la condanna a morte dei suoi sostenitori. Zhao Jingzhong, a capo della "jinyiwei" (la polizia segreta imperiale), ordina ai suoi ufficiali Shen Lian, Lu Jianxing e Jin Yichuan di eliminare Wei, ma Shen Lian si farà corrompere dall'eunuco risparmiandogli la vita.
Presentando come prova della morte di Wei un cadavere carbonizzato, Shen Lian desta però la perplessità del ministro Han Kuang, il quale ordina un'autopsia. Nel frattempo Zhao Jingzhong riceve da Wei Zhongxian l'ordine di far assassinare Shen Lian e i due ufficiali, gli unici a essere al corrente della sua esistenza in vita.
L'eunuco malvagio è un topos del "wuxia" almeno a partire da "Dragon Gate Inn" (1967) di King Hu, e la cosa è tanto più vera se quell'eunuco si chiama Wei Zhongxian (1568-1627), il quale detenne il potere per otto anni, sfruttando il disinteresse per gli affari di Stato dell'imperatore Tanqi; si favoleggia che egli avesse ammassato ricchezze superiori a quelle dell'Imperatore, almeno fino a quando cadde in disgrazia dopo la morte di Tanqi e, condannato all'esilio dal successore Chongzhen, preferì impiccarsi piuttosto che affrontare un processo. Il personaggio, il quale fa capolino persino in un flashback di "A Touch of Zen" (1971), non è nuovo alle apparizioni cinematografiche, da "The Ruthless Eunuch (1988) di Yu Mei e Ke Ren alla serie televisiva "Ming Dinasty" (2007), fino al recente "The Flying Swords of Dragon Gate" (2011) di Tsui Hark e al coevo (e deludente) "The White Haired Witch of Lunar Kingdom" (2014) di Jacob Cheung, ambientato pochi anni prima.
Elaborare un'intelligente e minuziosa variazione su avvenimenti storici, rispettando allo stesso tempo il canone del genere, è uno dei tanti meriti della sceneggiatura di Chen Shu e Lu Yang, il quale firma uno dei migliori "wuxia" dai tempi del "Wuxia" (2011) di Peter Chan. Invece di teorizzare rifugiandosi in uno sterile distanziamento critico alla maniera di Xu Haofeng ("The Sword Identity" e "Judge Archer"), o di azzardare un'imperdonabile ibridazione con il cinema dei supereroi, come Gordon Chan nella stanca trilogia di "The Four" (2012-14), Lu Yang non teme di sporcarsi le mani facendo sul serio.
Il regista esordì nel 2010 con il low-budget "My Spectacular Theatre", storia di un venditore di DVD pirata che, inseguito dalla polizia, trova asilo in un cinema per non vedenti, mentre il suo secondo film, il road-movie "A Motor Home Adventure" (2012), non è mai stato distribuito. Eppure al terzo lungometraggio dimostra già un'invidiabile maturità espressiva e una cristallina chiarezza d'intenti.
Una volta tanto, il fulcro dell'intreccio e le motivazioni dei personaggi non sono legati a un astratto senso dell'onore o alle imperscrutabili regole del "Jiang Hu", ma a una ben più prosaica necessità economica. L'imperatore Chongzhen vuole impadronirsi dei tesori dell'eunuco per rimpinguare le casse dell'Impero di Mezzo, che sta per cedere sotto la crescente pressione dei Manciù, ma anche i tre ufficiali della "jinyiwei" hanno un disperato bisogno di denaro: Shen Lian ne ha bisogno per riscattare la cortigiana Zhou Miaotong, Lu Jianxing per comprarsi la promozione, Jin Yichuan per pagare Ding Xiu, il quale lo ricatta minacciando di rivelare il suo passato di piccolo criminale.
Wei Zhongxian (un maiuscolo Chin Shih-chieh), che ha spadroneggiato per anni grazie alla corruzione, sa bene che ogni uomo ha il suo prezzo, compreso Shen Lian.
Quest'ultimo, d'altro canto, è consapevole di essere stato scelto per una missione suicida. Se uccide Wei verrà eliminato dai suoi seguaci, in primis dalla figlia Wei Ting, se lo risparmia verrà fatto giustiziare dall'Imperatore. Meglio, dunque, mettere da parte un consistente patrimonio di "tael" d'oro, cercando di sfuggire ai machiavellismi del doppiogiochista Zhao Jingzhong.
L'inusuale cambio di prospettiva si dimostra rinvigorente e assai contemporaneo, grazie anche a un'accorta costruzione in fase di sceneggiatura. In "Brotherhood of Blades" non esistono eroi, tutti i personaggi sono compromessi con il potere e l'ambiguità morale regna sovrana.
L'atmosfera è plumbea e crepuscolare, da autunno dei Ming, e la palette cromatica s'incendia di colori caldi solo quando entrano in scena i due personaggi femminili: la cortigiana Miaotong, la quale proviene da una nobile famiglia caduta in disgrazia, e la giovane Zhang Yan, della quale Jin Yichuan è innamorato.
L'eventuale "romance" è però subito abortito, obliterato dalla logica della spada. E qui Lu Yang, e di questo gli siamo grati, evita l'abuso del wire-work preferendo giocare sui primissimi piani e su un certosino uso del montaggio, concitato senza essere caotico. Le sequenze d'azione coreografate da Sang Lin, sono infatti tra le più impressionanti viste di recente, malgrado gli zampilli di sangue aggiunti in postproduzione.
Il taiwanese Chang Chen si prende una rivincita dopo essere stato drasticamente ridimensionato nel montaggio definitivo (si fa per dire) di "The Grandmaster", ed è affiancato dagli eccellenti Wang Qianyuan (The Piano in a Factory) nel ruolo della vittima sacrificale Lu Jianxing, Nie Yuan (Zhao Jingzhong) e Zhou Yiwei (Ding Xiu). Il "wuxia" cinese, invece, la rivincita se la prende sul cinema di Hong Kong.
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