Titolo: Bullet to the Head
Titolo originale: Bullet to the Head
USA: 2012. Regia di: Walter Hill Genere: Azione Durata: 115'
Interpreti: Sylvester Stallone, Jason Momoa, Christian Slater, Sarah Shahi, Adewale Akinnuoye-Agbaje, Sung Kang, Jon Seda, Marcus Lyle Brown, Brian Van Holt, Holt McCallany, Weronika Rosati, Don Yesso, Dominique DuVernay, Dane Rhodes, Don Tai, John L. Armijo, Andrew Breland, Darren Sumner
Sito web ufficiale: www.bullettothehead.warnerbros.com
Sito web italiano:
Nelle sale dal: 04/04/2013 (Roma 2012)
Voto: 8
Trailer
Recensione di: Ilaria Mutti
L'aggettivo ideale: Ipnotico
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Non è il solito film d’azione, come non è il solito Stallone. “Bullet to the Head” è un perfetto meccanismo che mescola all’unisono scene di azione e ironia.
Straordinario sin dall’inizio. Un colpo di scena che catapulta lo spettatore a metà della storia per poi iniziare un flashback lungo un intero primo tempo.
Ispirato alla graphic novel Du Plomb Dans La Tete di Matz, l’azione si svolge a New Orleans.
E’ proprio nella città che ospita uno dei carnevali più importanti al mondo che il poliziotto di origini coreane, Tylor, proveniente da Washington DC (interpretato da Sung Kang, visto già in due episodi di Fast'n'Furious) è costretto ad una strana alleanza con un killer a pagamento di origini italiane, Jimmy (Sylvester Stallone).
Il poliziotto è un vero nerd, molto attento anche se imbranato, mentre Stallone interpreta un killer assoldato per uccidere, disilluso e un po’ Pigmalione.
E’ assolutamente imperdibile un dialogo tra i due, che sintetizza alla perfezione i due caratteri e il rapporto di tensione/ironia che si genera nel corso della pellicola:
Jimmy: “Mi piace il tuo stile da samurai”
Tylor: “I samurai sono giapponesi ma io non sono giapponese. Sono coreano. E' come se ti dicessi che il mio piatto italiano preferito sono i tacos”.
Sicuramente si sente la lezione di 48 h, come sono chiari anche i riferimenti a Raymond Chandler, in un film che comunque ha una sua identità propria e sfreccia reiterpretando ogni riferimento in chiave molto personale.
In questa trama si inserisce lei, il personaggio femminile. E’ una tatuatrice, figlia di Sly e di cui il poliziotto si innamorerà dopo averle salvato la vita insieme al padre.
Una regia perfetta, degna dell’Hill migliore, su una sceneggiatura che non sbaglia praticamente nulla.
Da manuale è anche la scena che si svolge all’interno di un pub, dove in un crescendo di country (che pur essendo a New Orleans, patria del jazz non stona affatto) viene ucciso un uomo sul ritmo martellante della musica.
Anche se tuttavia la scena meglio congegnata dal punto di vista della sceneggiatura rimane quella dell’esplosione della casa sulla palude, quando il poliziotto e il killer stanno interrogando un avvocato corrotto e vengono “sorpresi” dagli uomini dell’organizzazione criminale che vogliono eliminarli a colpi di mitragliatrice.
Con un tuffo nell’acqua e un esplosione attivata a distanza, il round sarà facilmente vinto da Jimmy e Tylor.
Se una pecca si vuole trovare è quella del tatuaggio sulla spalla della prostituta/testimone, che a inizio film viene lasciata in vita dopo che Sly e il suo socio hanno ucciso il suo cliente su commissione.
Quello stesso tatuaggio lo ritroveremo sul corpo della figlia di Jimmy, ma poi viene perso completamente di vista nel corso di tutta la storia.
E’ fantastico il finale, in cui viene meno ogni stilema eroico per abbandonarsi al più realistico cinismo e rassegnazione.
L’ultima scena di Sly prima dei titoli di coda è quasi l’incarnazione dell’uomo qualsiasi, che segue un suo destino predestinato, lontano anni luce da Rocky o da Rambo.
Si è parlato di un film per “ragazzi anni ‘80” in realtà è un film essenziale e antieroico, come solo uno sceneggiatore italiano che vive negli States da anni poteva ideare fondendo due culture.
Bentornato Mr. Hill e benvenuto Alessandro Camon.
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