Professione Assassino
Titolo originale: The Mechanic
USA: 2011. Regia di: Simon West
Genere: Azione
Durata: 92'
Interpreti: Jason Statham, Ben Foster, Donald Sutherland, Jeff Chase, Christa Campbell, Liam Ferguson, Eddie J. Fernandez, J.D. Evermore, Stuart Greer, Elizabeth Tranchant, Kurt Deville, Felder Charbonnet, Julia Adams, Russell M. Haeuser, Joel Davis, Michael Arnona, Nick Jones, Beau Brasso, James Logan, Amber Gaiennie, Shima Ghamari, Ada Michelle Loridans, David Dahlgren, Tony Goldwyn, Mini Anden, Katarzyna Wolejnio, Lance E. Nichols, John Teague, Jeffrey Whitney
Sito web ufficiale: www.themechanicmovie.com
Sito web italiano:
Nelle sale dal: 24/08/2011
Voto: 5
Trailer
Recensione di: Dario Carta
L'aggettivo ideale: Riciclato
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Secondo I canoni tradizionali dell’assurdo,il cinema aderisce al principio della chimica di Lavoisier,secondo il quale nella natura organica nulla si crea e nulla si distrugge.
In termini scientifici,se la materia è in grado di mutare aspetto,la sua quantità è la stessa all’inizio e alla fine di ogni reazione. Nella sfera più astratta dell’arte immaginifica,in un cinema che proietta sullo schermo realtà virtuali o dimensioni oniriche,vademecum umano dei desideri,la legge molecolare si traduce in un’identità visiva che pare rispettare lo stesso principio di immutabilità.
E’ il caso di “The Mechanic”,di Simon West,elemento in stato di quiete sostanziale,inerte e immobile ad ogni sollecitazione emotiva. Nel ’72 Michael Winner dirigeva “Professione assassino” (“The Mechanic”),con Charles Bronson e Jan Michael Vincent (“Un mercoledì da leoni”),una pellicola senza aspirazioni di particolare rilievo,ma dove il regista seppe creare un microcosmo relazionale fra due attori di opposta estrazione artistica.
Il risultato fu un film allineato alla fisionomia del cinema di quel decennio,contenente un ardito tentativo da parte di Winner di coniugare crimine sociale a delinquenza spicciola,in un rapporto fra i due protagonisti che dava corpo ad un’esile storia di violenza metropolitana ed un doppio finale ad effetto ripreso in seguito da “The Score”,di Frank Oz.
Questo ricalco di Simon West è una vuota eco dell’originale,immagine riproposta nei colori saturi del cinema d’azione di questo tempo,ma del tutto priva di quell’affetto coesivo che cementa storia e persone. Nomi e fatti sono gli stessi.
Arthur Bishop (Jason Statham) è un killer professionista,un assassino d’elite dotato di grande talento,il cui mentore Harry (Donald Sutherland) è anche amico.
Quando il socio di Harry,Dean (Tony Goldwyn) accusa Harry di tradimento e incarica Arthur di eliminarlo,questi si trova di fronte ad una difficile scelta.
Arthur ucciderà l’amico a malincuore e si troverà affiancato dal figlio di questi,l’impulsivo e violento Steve (Ben Foster),sempre in conflitto con il padre,quando il rapporto non si esauriva nella reciproca indifferenza.
Steve diventerà l’apprendista di Bishop,da cui il giovane apprenderà come uccidere per mestiere. Ma Steve resta sempre il figlio di Harry e Bishop il suo esecutore.
Dalla sceneggiatura di Richard Wenk e Lewis John Carlino,nasce una copia conforme di un lavoro quaranta anni fa ,ma svuotata del simbolismo visivo tipico del decennio di cui l’originale era figlio e si offre come meditazione su una violenza che si rigenera in un processo arido di distruzione ed annullamento morale,senza lasciare spazio ad alcuno spessore emozionale.
Non resta molto di un film senza spunti,che si autocita e si alimenta del moto assurdo di dinamiche ed azione senza smalto e anima propria.
Statham naturalmente non può che fare il suo dovere di attore destinato all’esclusiva del cinema di genere,ma la sua uniforme espressione va oltre l’indulgenza e la corsa diventa subito noiosa.
Le tante sequenze d’azione rette da uno score che ammicca alle sonorità di John Barry girano a vuoto nel moto perpetuo di uno spettacolo sfiatato e afflitto dalla contrattura di una infelice ristesura di una pagina già letta.
Il conflitto relazionale fra Harry e Steve è solo sfiorato nei pochi dialoghi dove è presente Donald Sutherland,unica ragione di esistenza di una pellicola che,diversamente decreterebbe il proprio anonimato.
La sofferta coscienza di Arthur non affiora alla superficie degli archetipi narrativi digeriti da una filmografia da portfolio – il risvolto artistico di Bishop e la sua passione per la musica classica su supporto vinilico suona guasta e fasulla – e nulla di nuova sembra uscire dalle esplosioni,gli inseguimenti,i conflitti a fuoco,le collisioni di auto in corsa,se non un senso di indigente spettacolarità ed un muto linguaggio del corpo cui non segue ombra di pathos umano.
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