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Cinematerapia (La cura del cinema/la cura dei sogni) PDF Stampa E-mail
Scritto da Giancarlo Stòccoro   
mercoledì 09 luglio 2008

Cinematerapia (La cura del cinema/la cura dei sogni)

Incominciai interessandomi dell’artista, di letteratura, della magia delle parole.
Il linguaggio medico non mi piaceva: è sterile. Mi immersi nella mitologia, archeologia, teatro, pittura, scultura, storia: solo l’arte, infatti, è in grado di ridare vita al fenomeno scientifico. (O. Rank)

Dentro di noi è sempre in funzione una sorta di cinema mentale, prima ancora che il cinema fosse stato inventato. Questo cinema interno non cessa mai di introiettare immagini alla nostra vita interiore e le sue soluzioni visive sono determinanti e talora arrivano inaspettatamente a decidere di situazioni che le risorse del linguaggio non riuscirebbero a risolvere. (I. Calvino)

Se il mondo è diventato un brutto cinema al quale non crediamo più, un vero cinema non potrebbe contribuire a ridarci delle ragioni per credere nel mondo e nei corpi venuti meno? (Gilles Deleuze)


Il ricorso alle Arti a scopo formativo e terapeutico è di grande attualità e trova nella Cinematerapia uno dei più interessanti sviluppi.
Nati entrambi negli ultimi anni del 1800, Cinema e Psicoanalisi non da subito hanno riconosciuto il loro legame fraterno. Sembra infatti che Freud considerasse il cinema <<un passatempo senza storia>> ed è certo che rifiutò di collaborare al film di Pabst I misteri dell’anima (1925), primo omaggio alla psicoanalisi.
Ormai maturi da tempo, i due “fratelli” sono ben consapevoli di abitare gli stessi territori di confine tra sogno e realtà, ragione e sentimento, emozione e controllo, lavoro e immagine. Le analogie tra film e sogni sono evidenti: secondo Fellini, per esempio, <<il film è il sogno di una mente in stato di veglia>>.
Altri registi affermano di essersi ispirati ai loro viaggi onirici quando hanno pensato a un film. Per lo psicoanalista Musatti i sogni sono come i film, entrambi pensano soprattutto per immagini, si dimenticano e si modificano nella memoria perché tempo e spazio non corrispondono alla vita reale.
La stessa sequenza parola-immagine-parola del cinema è ben presente anche nel sogno, nel quale <<la parola che nasce dall’immagine permette la verbalizzazione di esperienze preverbali che diventano pensabili>> (Mauro Mancia, 2007).
Chiamato a sua volta “fabbrica dei sogni”, il medium cinematografico, con la sua illusione di verità che suscita la meraviglia e lo stupore, ha un potere evocativo, simbolico e allegorico straordinario. Esso rappresenta <<l’incarnazione dell’immaginario nella realtà esterna>> (Edgar Morin, 2001) e può essere considerato a tutt’oggi il <<luogo privilegiato in cui l’inconscio diffonde a pioggia i propri raggi luminosi per rendere visibile l’invisibile>> (Brunetta, 1995).
L’esperienza regressiva, ma emotivamente coinvolgente, di stare seduti in una sala al buio in una posizione passiva-recettiva (altrimenti definita come “veglia sognante”, “allucinazione paradossale”, “vertigine psichica”, o ancora “coscienza sospesa e non assente”) di fronte al magico scorrere della pellicola, che <<permette di evocare quello che non c’è rendendolo presente>> (Alina Marazzi, 2003), attiva un modo di funzionamento mentale tipico del daydreaming, del sogno, del pensiero associativo della veglia.
E da questo incantesimo può nascere un autentico processo creativo e di rivelazione profonda.
La visione di un buon film, con i suoi movimenti identificatori e proiettivi che ci fanno sentire in gioco in ogni personaggio, apre nuove strade e nuovi scenari per la comprensione degli aspetti emotivi e spesso inconsapevoli del nostro rapporto con la realtà.
Guardando lo schermo con <<occhi d’oro che san vedere nella notte>>(Lella Ravasi Bellocchio, 2004 e 2007), il cinema può curarci come ci cura il sogno (il nostro cinema interno) perché ci offre la straordinaria occasione di <<storicizzare il nostro inconscio facendoci rivivere emozioni rimosse o dimenticate per sempre >> (Mauro Mancia, 2007).
Di questo sono ben consapevoli registi come Fellini che, dopo l’ultimo ciak a un suo film (8 e mezzo), così ne riconobbe il grande potere di autoguarigione: <<Non so dire esattamente cosa farò dopo questo film ma, posso dire, con molta sincerità, che esso mi ha fatto veramente bene…
Io so che adesso potrei fare qualsiasi cosa, perché è nuovo il modo di guardare e anche il modo di amare>>.
A partire dagli U.S.A. si è diffuso anche in Italia l’uso terapeutico dei film: per ogni malattia (dai disturbi d’ansia e depressivi all’ ipertensione e ai tumori) una pellicola, dietro consiglio di esperti che hanno all’uopo confezionato esaurienti manuali. Nancy Peske e Beverly West così introducono il loro bestseller dedicato alle donne, Cinematerapia. C’è un film per ogni stato d’animo: << (…) i film sono ben più di un semplice divertimento: sono dei medicinali che possiamo autoprescriverci. Una buona pellicola è come un ricostituente lenitivo che, se somministrato correttamente, in combinazione con l’inerzia assoluta e qualche cibo oscenamente ricco di grassi, può curare di tutto: dalle crisi d’identità ai giorni in cui ti svegli con i capelli in disordine, alla tristezza provocata dall’odio per il proprio lavoro>>. Secondo lo psichiatra Vincenzo Mastronardi, i film <<sono come iniezioni intramuscolari di forza, di energia>>.
Il suo Filmtherapy è un’autentica “psicofilmica”: per ogni film ci sono le indicazioni terapeutiche e le modalità psicologiche con cui avvicinarsi ad esso.
<<Un film è come chiacchierare con un’amica/psicologa. Con il vantaggio che se non ti va lo cambi, oppure lo puoi rivedere>>, chiosa la giornalista Paola Maraone autrice del recentissimo Cineterapia. 99 film che fanno bene al cuore.
Eppure, come ben sottolineano Ciappina e Capriani (Manuale di Cinematerapia), è importante non confondere lo strumento con la terapia, l’effetto consolatorio del “Cinema” con gli esiti della “Cinematerapia” che si pone l’obiettivo ben più alto di perseguire uno sviluppo di crescita personale.
Come Freud analizzava i sogni, via regia all’inconscio, all’interno di un ben definito setting analitico, anche i cinematerapeuti utilizzano il cinema come strumento interpretativo. Hanno così messo a punto una specifica metodologia per <<comporre ed elaborare le emozioni grezze>>, suscitate dalla visione di film scelti ad hoc, <<in processi complessi che hanno la finalità di stimolare nell’individuo lo sviluppo di nuove competenze, la realizzazione dei propri progetti profondi e agevolare il suo cammino esistenziale>>.
I vari meccanismi psicologici, spesso inconsapevoli, di identificazione, proiezione ma anche di regressione e amplificazione vengono opportunamente rielaborati nel percorso formativo che è favorito dal lavoro in gruppo.
Qualsivoglia sia il metodo utilizzato nel cinema come terapia, ciò che emerge sempre è la straordinaria forza delle immagini, che possono curarci se ci prendiamo a nostra volta cura di loro, per riuscire ad accedere alla dimensione simbolica che sa leggere oltre le parole e utilizzare a pieno le risorse emotive di cui siamo dotati.
Una modalità nuova che esalta questa prospettiva è l’associazione di Cinema e Sogno che coniuga la visione di un film al Social Dreaming (sognare sociale/ sognare insieme), la più recente e raffinata tecnica psicoanalitica per esplorare l’inconscio collettivo (Gordon Lawrence, 2001).
Essa deriva da progetti internazionali di ricerca sulla formazione di operatori sanitari in psicooncologia (Nesci e Poliseno, 2002) per aiutarli a raggiungere una maggior consapevolezza delle dinamiche inconsce sempre presenti nella relazione di cura e che tanto peso hanno nel determinare frustrazioni e burn out.
Un film a tema (come la stanza di Marvin sul cancro o Mare dentro sul tema dell’eutanasia, per esempio) viene qui utilizzato come strumento facilitatore del sogno degli spettatori che si incontrano nuovamente il giorno successivo all’interno delle matrici del sogno.
Definita da Gordon Lawrence come <<luogo dove nasce qualcosa e dove non c’è la tirannia di appartenere a un gruppo perché il tramite del discorso è il sogno e non l’individuo>>, la matrice consente a sogni e ricordi di venire sperimentati non più come realtà individuale bensì come espressione di un patrimonio comune e trans-individuale. Fuori dalla stanza d’analisi, dove sono stati così a lungo custoditi, i sogni possono quindi tornare a pieno titolo nel mondo a occuparsi della natura dei nostri collegamenti con gli altri. Cinema e sogni sono esplorati da chi scrive, insieme alla psicoanalista Giovanna Cantarella, anche uscendo dalla valenza strettamente formativa dell’ospedale, per entrare nella comunità dei sognatori (con il film Il vento fa il suo giro al Cinema Mexico di Milano e al Multisala Portanova di Crema nel gennaio e maggio 2008) e recuperare il loro significato più profondo con un’autentica lettura collettiva, riscrittura della pellicola a più voci, ripartitura a più mani. Ogni voce narra e illumina una scena del film, vedendo aspetti che ad altri sono sfuggiti, offrendo la propria visione, la propria riflessione senza far prevalere un’opinione sull’altra.
Nell’ovattata e crepuscolare atmosfera della sala cinematografica sogni, ricordi e libere associazioni si connettono gli uni agli altri con infiniti rimandi, consentendo a ciascuno di accedere a una dimensione misconosciuta della mente e della realtà per approdare a un nuovo grande film/sogno finalmente condiviso.

Bibliografia
Brunetta G.P. (1995), “Cinema e Psiche” in: De Mari M., Marchiori E., Pavan L., a cura di, Psiche & Immagine. Incontri culturali sul rapporto tra cinema e psichiatria, Lavia-Kendall, Padova, pp. 9-15.
Canova G. (2001), Presentazione in: Senatore I., Curare con il cinema, Centro Scientifico Editore, Torino, pp. VII-IX.
Ciappina G., Capriani P. (2007), Manuale di cinematerapia, Istituto Solaris, Roma.
Gordon Lawrence W. (1988), Social Dreaming work (trad. it.: Social dreaming. La funzione sociale del sogno, Borla, Roma 2001).
Gordon Lawrence W. (2005), Introduction to Social Dreaming: Transforming Thinking, (trad. it.: Introduzione al Social Dreaming, Borla, Roma 2008).
Maisetti Mazeri F. (1995), Introduzione di 100 anni di Cinema, 100 anni di Psicoanalisi, Milano 11-16 dicembre 1995.
Maraone P. (2008), Cineterapia. 99 film che fanno bene al cuore, Sperling e Kupfer, Milano.
Marazzi A. (2003), “Un’ora sola ti vorrei: intervista ad Alina Marazzi” di P.R. Goisis in: www.psychomedia.it/cine@forum/interviste/marazzi.htm.
Mastronardi V. (2005), Filmtherapy, Armando, Roma.
Mancia M. (2007), “Un pensiero”, in: Ravasi Bellocchio, L. Gli occhi d’oro, ancora. Moretti e Vitali, Bergamo.
Mereghetti P., Stoccoro G. (2008) incontro radiofonico podcast “Radio due: Sumo, il peso della cultura, puntata del 10/5/2008 Cinema e Sogno.
Morin E. (2001), “L’identità polimorfa”, trad. it. in: L’identità umana, Raffaello Cortina, Milano 2000.
Nesci D., Poliseno T., Andreoli S., Mariani G., “La malattia oncologica nell’immaginario: alcune riflessioni sui Workshops Cinema e Sogni del 2002” in: Rivista internazionale di psicoterapia e istituzioni, numero 2, 2006.
Peske N., West, B., (2003), Cinematerapia, Feltrinelli, Milano.
Ravasi Bellocchio L. (2004), Gli occhi d’oro, Moretti e Vitali, Bergamo.
Ravasi Bellocchio L. (2007), Gli occhi d’oro, ancora, Moretti e Vitali, Bergamo.

Link dove è possibile scaricare la puntata del 10 maggio sull'argomento Cinema e Sogno con Paolo Mereghetti e Giovanna Zucconi.  

 
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