Amici miei
Titolo originale: Amici miei
Italia: 1975. Regia di: Mario Monicelli
Genere: Commedia
Durata: 109'
Interpreti: Ugo Tognazzi, Philippe Noiret, Gastone Moschin, Duilio Del Prete, Adolfo Celi, Bernard Blier, Olga Karlatos, Milena Vukotic, Franca Tamantini, Marisa Traversi, Silvia Dionisio, Angela Goodwin, Mauro Vestri, Mario Scarpetta
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Nelle sale
dal: 1975
Voto: 7
Trailer
Recensione di: Stefano Salinas
L'aggettivo ideale: Dolceamaro
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Un film dall’atmosfera impregnata di comicità. Ambientato nella Firenze degli anni 70 e dintorni, narra degli episodi che vivono quattro amici (a cui poi se ne accoderà un altro) e dello stile di vita che questi conducono, il quale è basato sullo scherzo e sul riso.
Le scene rimaste nella storia del cinema italiano sono molteplici: gli schiaffi ai passeggeri affacciati ai finestrini di un treno in partenza, i bizzarri discorsi dal fantasioso lessico che si inventa Lello (Ugo Tognazzi), i cori intonati dal magnifico quartetto, specie quello in ospedale che manda in bestia il personale. Ma anche il fittizio scenario di sparatorie (con tanto di fuochi d’artificio) messo su dai protagonisti, per far credere a un personaggio chiamato il Righi (Bernanrd Blier) che fossero coinvolti in un giro d’affari con la malavita organizzata, al fine di tirarlo dentro quelle situazioni che ai suoi occhi appaiono tanto losche da farlo spaventare.
Il tutto gira intorno allo spirito di superficialità e lo schietto umorismo che dai personaggi stessi scaturisce. E nonostante il fatto che il loro modo di scherzare sia per l’appunto schietto, e quindi palese, il ‘povero’ Righi non riesce lo stesso a comprendere quanto sia in realtà deriso dai protagonisti.
Resta da evidenziare comunque quanto i quattro amici siano stati bravi nel giro di pochi secondi (mentre giocavano a carte) a mettere su la scena che erano dei gangster con della droga da smerciare quando invece nella scatola c’era scritto in grande ‘ZUCCHERO’. Ovviamente quello scherzo, e tutta la seguente fila di montature che ne consegue, sono state rese possibili dall’estrema ingenuità del Righi, ma anche dalla prontezza d’ingegno dei quattro e dall’intesa micidiale che li legava. Gli attori principali recitano con una tale spontaneità da far sembrare agli spettatori che anche loro si stiano divertendo ‘da matti’ durante le riprese.
Tra tutti i personaggi il vero protagonista è il Perozzi (Philippe Noiret), che funge da narratore e che racconta all’inizio del film della sua incontenibile voglia di trascorrere un po’ di tempo con i suoi amici, dopo una nottata di lavoro alla sede di una testata giornalistica. Essendo lui che fa da intermediario tra gli spettatori e la commedia, ci dice con un pizzico di riflessività, che cosa sia la ‘zingarata’, ovvero nient’ altro che un viaggio “senza meta e senza scopi, un’evasione senza programmi che può durare un giorno, due o una settimana”.
Riflessività che notiamo anche quando, nel cantare in auto con gli amici, si sofferma un attimo a realizzare quello che stava accadendo, come per immortalare il momento che a lui sembrava così magico, e ci parla di quanto i quattro adulti siano legati tra loro fin dai tempi della scuola e del servizio di leva militare.
Il quinto elemento del gruppo, il dottor Sassaroli (Adolfo Celi), entra in azione quando, per far rispettare le regole che vigono nel suo ospedale, punisce i quattro scalmanati con metodi piuttosto singolari.
Così facendo si dimostra più scaltro di loro, ma a farlo entrare in simpatia al Perozzi, a Lello, e al Necchi (Duilio Del Prete), è il modo in cui riesce psicologicamente a prevalere sul Melandri (Gastone Moschin), il quale si era innamorato di sua moglie.
Questa pellicola è il prototipo della nuova commedia all’italiana. Perché riproduce una realtà così vicina alla nostra generazione, come mai nessun precedente. I tempi dei “Soliti ignoti”, dove la miseria impera e ci si deve arrabattare per rimediare un po’ di denaro, sono finiti. Così come lo sono quelli di “Pane e cioccolata”, dove la realtà di un emigrato italiano in Svizzera, un po’ci rattrista. Dalla pubblicazione di Amici Miei è iniziata l’epoca del cinema che mostra il piacere provato nello sguazzare nel, perdonatemi la parolaccia, fancazzismo.
E il gusto della ‘zingarata’ è così saporito, che vengono rimandati gli impegni di lavoro (vedi il Melandri che delega il lavoro al geometra e non si occupa delle commissioni, oppure il Sassaroli che, quando sente i colpi di clacson degli amici fuori della clinica, rimanda un’operazione chirurgica che stava per avere inizio) e la famiglia viene trascurata (è il caso di Lello che lascia la moglie e la figlia con solo due cipolle da mangiare per tutto il giorno).
Forse un ventennio prima nel capolavoro felliniano “I Vitelloni” quest’aspetto venne già proposto al pubblico italiano; ma in maniera diversa.
Mentre Lello è l’unico personaggio povero del racconto (ma rimembriamo bene, povero ma fiero, poiché non vuole prestiti finanziari dagli amici) gli altri vivono nel piacere di chi ha un lavoro e una condizione economica non cattiva, e che quindi, da questo punto di vista, si può anche permettere di vivere in tal modo.
Del resto Mario Monicelli si rende ancora una volta maestro nel farci immergere completamente nelle atmosfere da lui create; anzi in tal caso risulta più corretto dire: ricreate, visto che egli, per elaborare un costrutto cinematografico così marcato, attinge da un patrimonio unico e assoluto, quello della realtà contemporanea.
Il realismo infatti è uno dei marchi di fabbrica del regista toscano.
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