Burn After Reading - A prova di spia
Titolo originale: Burn After Reading
USA: 2008. Regia di: Ethan Coen, Joel Coen Genere: Commedia Durata: 95'
Interpreti: Brad Pitt, George Clooney, Frances McDormand, John
Malkovich, Tilda Swinton, Matt Walton, Logan Kulick, Eric Richardson
Sito web: www.burnafterreading.co.uk
Nelle sale dal: 19/09/2008
Voto: 8,5
Trailer
Recensione di: Alessandro Beria
Bé, che dire? Quanto basta geniale. Nel senso che questo film ricorda un trattato di sociologia et psicologia dell’uomo moderno, mica solo americano.
Mi spiego.
Il film diverte, fa ridere, ma non esci dal cinema con il riso dentro. Anzi, esci e, se vuoi, comprendi che il paesaggio statunitense osservato per un’ora e mezza circa è in fondo triste. Perché?
Perché ci dice che non ci si chiede più il senso delle cose: “ma che cazzo abbiamo fatto?”, conclude laconico un VIP della C.I.A. Cause e conseguenze non si legano più. Caos. Punto. Ci dice che chi sopravvive non è chi ragiona sulle cose, o chi è del tutto cretino. Ci dice che chi sopravvive è chi impronta il proprio stile di vita allo stile di vita che il potere (economico/governativo) ‘paga’. Che poi siano 4 operazioni di chirurgia plastica o altro, bé, è questione di puro contenuto.
Ci dice che la Terrorismo.S.p.A (consiglio en-passant: Loretta Napoleoni, vedere su Google o il sempreverde Mr Chomsky) rende sempre. Non tanto –o non solo– ai terroristi, quanto ai Governi (nel caso, quello degli Stati Uniti, ma si può sempre generalizzare…), che usano il terrore e la disinformazione come strumento di controllo. L’ex maresciallo federale Harry Pfarrer (George Clooney) è mitico nell’interpretare la “psicosi da terrore” che frega tanto i “cretini” quanto quelli che, purtroppo, pur essendo “intelligenti”, nel senso che si fanno domande, purtroppo poi si beccano una pallottola e qualche accettata in testa. Del resto, dice il bravissimo John Malkovich, nel film Mr. Osborne Cox, (ex-)analista per la C.I.A., “è tutta la vita che lotto contro gli imbecilli come voi”, rivolgendosi all’ex-sacerdote Ted Treffon (Richard Jenkins), riciclatosi come gestore presso l’Hardbodies Fitness Centers e l’unico che, talvolta, sembra chiedersi il senso delle cose nel film -pur nella sua assenza di (re)-azione-; frase, dicevo, che illustra almeno due cose: che l’Intelligence lotta contro gli imbecilli che confondono e creano confusione (la disinformazione non è solo frutto dell’ingegno governativo), e fin qui ci sta pure; che l’Intelligence lotta contro chi usa il cervello per dipanare il caos, il “casino”, che l’Intelligence stessa infiltra nel mondo delle persone e delle cose.
E in questo secondo caso chiedersi il perché è d’obbligo e il ragionevole dubbio è consigliato.
Certo, tutelandosi per non soccombere, altrimenti si finisce come il citato Ted Treffon che è l’unico nel film a pre-occuparsi del destino dei suoi compagni e dell’amore non ricambiato, avvertendo che, dalla situazione creatasi, “nulla di buono può venirne fuori”. Sicuramente non per lui e per quelli come lui, a detta dei Cohen.
Il cui film si snoda in un incessante gioco di tradimenti che tra-discono e quindi tra-ducono gli stili di vita degli statunitensi di oggi, il modello restando sempre estendibile per analogia.
Davvero: tutti tradiscono in questo film. Per motivi diversi, almeno in apparenza. Per esempio Harry Pfarrer tradisce perché la sua autostima è a zero e ha bisogno di tante amanti, rectius, di tante ‘mamme’, oltre alla moglie che, come scoprirà preso, tanto ‘mamma’ non è, e pace per le fiabe per bambini. Linda Litzk (Frances McDormand) tradisce se stessa perché non si piace. Anche qui: personalità uguale a zero. Tradisce più il suo corpo che se stessa, per essere più precisi, ma il succo è lo stesso.
Ben venga dunque l’avvalersi del Potere dell’Informazione, luogo comune del quale l’esilarante Chad Feldheimer (complimenti davvero a Brad Pitt!) si avvale per fare soldi e per riempire di qualcosa diverso dal Gatorade il suo vuoto cervello. Che poi tanto vuoto non è: è in realtà pieno di un’accozzaglia incredibile di ‘sentito dire’ e di sciocchezze mutuate dai film, senza che la verifica di alcunché -diverso dal vitaminico/integrale/salutista- possa neanche pro-porsi. E senza che la realtà che gli sta intorno possa mai emergere nella sua…bé, reale realtà. Che dire poi della ‘terribile’ testa rossa Katie (Tilda Swinton), moglie di Mr. Osborne Cox? Sembra la donna fatale che purtroppo di fatale ha solo il proprio disastroso destino.
Cioè, si impegna anche, ma dà il ‘la’ ad una rocambolesca sequenza di equivoci che fa del materiale necessario al divorzio e di qualche memoria il ‘burn after reading’ che presta titolo al film.
Agente della ‘trasformazione’, del fato un po’ meno.
È probabile, a questo punto, che chi legge non stia comprendendo granché della trama: lo si è fatto di proposito, per non rovinare il piacere a chi, il film, non lo avesse già visto. Quel che con queste righe si dice è che ‘burn after reading’ è un testo ben riuscito proprio perché, facendo (sor)ridere, fa anche ragionare (sempre che si voglia, questo è pacifico) sui meccanismi messi in atto, quasi forme di autoconservazione, da un sacco di persone immerse e sommerse nel mondo odierno.
Far collimare riso e ragionamento è un gran ‘casino’.
Non quello della C.I.A., con cui si apre e si chiude il film, ovviamente. Ma è un gran ‘casino’ lo stesso.
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