Clerks
Titolo originale: Clerks
USA: 1994. Regia di: Kevin Smith Genere: Commedia Durata: 92'
Interpreti: Brian O'Halloran, Jeff Anderson, Marilyn Ghigliotti, Lisa Spoonhauer, Jason Mewes, Kevin Smith, Scott Mosier
Sito web:
Nelle sale dal: 1995
Voto: 5,5
Trailer
Recensione di: Francesco Manca
Cronaca di una giornata lavorativa di un commesso del Quick Stop, in mezzo a situazioni tragi-comiche che lo vedranno protagonista di eventi tanto quotidiani quanto bizzarri.
Presentato con notevole ed inaspettato successo al Sundance Film Festival ed al Festival di Cannes nel 1994, “Clerks” è divenuto in brevissimo tempo un indiscusso Cult generazionale, politicamente scorretto, provocatorio e indubbiamente (e dichiaratamente) “alternativo”, che ha consentito al regista, sceneggiatore, produttore e montatore Kevin Smith, all’epoca solo 23enne, di conquistare pubblico e critica insieme ad una ragguardevole dose di popolarità a livello internazionale, che ancora oggi rimane immutata.
Con questa sua prima fatica dietro la macchina da presa costata solo poche migliaia di $, Smith inneggia ed omaggia l’arte del cazzeggio e del più sfrenato fancazzismo, per mezzo di presenze attoriali che non potrebbero essere più appropriate: Brian O’Halloran e Jeff Anderson alias Dante Hicks e Randal Graves, incarnano alla perfezione il perfetto prototipo del dipendente dedito esclusivamente alla lettura e alla visione di riviste e pellicole pornografiche e a discorsi “non-sense” basati più che altro su film (la trilogia di “Guerre Stellari”) e questioni sessuali.
Insieme a questi personaggi, ce ne sono altri senza i quali, probabilmente, il film di Smith non sarebbe stato lo stesso; ovviamente stiamo parlando di Jay & Silent Bob (Jason Mewes e lo stesso Kevin Smith), protagonisti assoluti di esilaranti gag che fanno da sfondo alle vicende vissute da Dante e Randal.
Tuttavia, è fin troppo evidente che “Clerks” si regge unicamente sulle situazioni di “folle” quotidianità che compongono una sceneggiatura frivola e fin troppo ripetitiva, che gioca tutto, come detto, sui lunghi dialoghi recitati da O’Halloran e Graves che fanno della pellicola una sequela di scene a piani fissi in cui, talvolta, è solo il bianco e nero sgranato e “naif” a risultare interessante.
La sensazione predominante è quella di un film che stenta fino alla fine a spiccare un volo che, comunque, non avverrà mai, al che lo spettatore viene lasciato con l’amaro in bocca e convinto di aver assistito, tanto per rimanere in tema, ad uno spettacolo di pura routine.
Non è da ripugnare, qualche trovata valida ed apprezzabile la si può facilmente trovare, ma è comunque troppo poco.
Nel 2006 ha visto la luce il tanto atteso sequel, che seppur considerato inferiore a questo, a giudizio di chi scrive, è di gran lunga superiore.
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