Habemus Papam
Titolo originale: Habemus Papam
Italia: 2010. Regia di: Nanni Moretti
Genere: Commedia
Durata: 104'
Interpreti: Margherita Buy, Roberto Nobile, Michel Piccoli, Nanni Moretti, Jerzy Stuhr, Renato Scarpa, Franco Graziosi, Massimo Dobrovic, Leonardo Della Bianca
Sito web italiano: www.habemuspapam.it
Nelle sale
dal: 15/04/2011
Voto: 7
Trailer
Recensione di: GianLorenzo Franzì
L'aggettivo ideale: Maturo
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Il conclave elegge un nuovo Papa: ma durante l’annuncio ufficiale, il nuovo Vescovo di Roma (Michel Piccoli) ha una crisi di panico: a nulla servirà chiamare il più bravo psicanalista d’Italia (Nanni Moretti) o la sua ex moglie anche lei terapeuta (Margherita Buy): qualcosa nell’uomo si è rotto, e per lui non resta che la fuga…
Ritorno di Moretti alla regia dopo "Il Caimano": e potrebbe non essere un caso se dopo aver esplorato gli abissi d’orrore del potere pubblico (il Presidente del Consiglio), ora l’autore di "Ecce Bombo" si addentra in quelli del vuoto esistenziale che potrebbe celarsi dietro il potere temporale della chiesa, o più in generale la vertigine del vuoto dietro la fede.
E lo fa con una mano felice, con una delicatezza di tocco che non si vedeva nei suoi film forse dai tempi di "Sogni D’oro", altra sua opera dove più compiutamente Nanni coniugava uno spirito gioviale ad ombre riflessive e altamente drammatiche nella loro semplice verità. Non date retta ai critici da salotto che forse pontificheranno (e scusate il calembour…) su un Moretti “minore” o meno drammatico rispetto agli ultimi capolavori -il citato "Caimano" o "La stanza del figlio" palma d’oro a Cannes -: "Habemus Papam" è puro Moretti, quello più risolto, pieno delle sue manie e idiosincrasie (la fede, il ballo, lo sport, i medicinali), uno dei più compiuti, forse addirittura pacificato senza per questo essere addomesticato. Il ritratto di un uomo infelice viene fatto con serenità, con quella serenità di chi, dopo averlo subito, sa come affrontare il dolore: sublimandolo con l’Arte.
La figura che il regista si ritaglia, in questo caso, e quella del Pontefice che rincorre il suo passato e i suoi desideri sulle assi di un palcoscenico (dove regna una beata, ignara, vividissima follia) sono in questo caso antitetiche e complementari: lo psicanalista, che significativamente non ha nome, è profondamente convinto del suo mestiere ma vive solo (la moglie lo ha lasciato) in una bolla d’aria fra luoghi comuni, affannandosi a completare un torneo di pallavolo fra vescovi - mentre il Pontefice, indossati abiti laici, trova ristoro a seguire i sogni infranti in gioventù ricordando Checov, e anche schiacciato e raggiunto dal peso delle sue responsabilità per non esserne raggiunto se ne affranca con un atto di coraggiosa viltà.
Perché alla fine questo Papa, dal sorriso luminoso e dagli occhi terrorizzati, non è un uomo pavido ma un uomo umile, e lo psicanalista pur cercando di concretizzare il dolore per scacciarlo si rende conto, nel bel mezzo di una partita a pallavolo, che la profonda verità della vita è che (darwinianamente) nulla ha senso. Non occorre il rancore da stadio né l’acidità dei perdenti per parlare e rifletter su un pensiero diverso: e in fondo, il cinema, Ingmar Bergman e Nanni Moretti ci hanno insegnato che nessuno meglio di un ateo può avvicinarsi di più al mistero della Fede.
Habemus Papam vive e si nutre di ironia e rispetto, intelligenza e sensibilità, di grandi performance di attori (Moretti, ovvio, ma anche Michel Piccoli, Jerzy Sthur, Renato Scarpa), di piccole perfezioni, di una grande storia comica e drammatica (lo guardino, Siani, Zalone, Miniero e gli altri: la commedia e il sorriso non hanno bisogno dell’idiozia e del vuoto pneumatico per esistere in sala), di contrasti e assonanze.
Se quindici anni fa, quindi, con "La messa è finita" Moretti lanciava un urlo sordo e straziante dopo la scoperta della propria solitudine, ora, con il film di una compiuta maturità, riflette e fa riflettere con la solita intelligenza e sensibilità, laici o credenti, aiutando in ogni caso a sentirci meno soli e liberandoci dal peso, psicanaliticamente individuato, di quel “deficit di accudimento” (da un padre, da una madre, da Dio) che soli, una volta e per sempre, ci abbandona al mondo.
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