Soul Kitchen
Titolo originale: Soul Kitchen
Germania: 2009 Regia di: Fatih Akin Genere: Commedia Durata: 99'
Interpreti: Adam Bousdoukos, Moritz Bleibtreu, Birol Ünel, Wotan Wilke Möhring, Jan Fedder, Peter Lohmeyer, Dorka Gryllus, Lukas Gregorowicz, Catrin Striebeck
Sito web:
Nelle sale dal: 08/01/2010
Voto: 5
Trailer
Recensione di: Denis Zordan
L'aggettivo ideale: Ruffiano
Il Soul Kitchen del titolo è un ristorante che il giovane immigrato di origine greca Zinos ha ricavato da un vecchio capannone in una zona periferica di Amburgo.
Varia umanità vi si ritrova, in un clima da vecchia osteria in cui trangugiare birra e menu di infima qualità. Zinos ha una fidanzata di buona famiglia, Nadine, in procinto di trasferirsi in Cina per lavorare come giornalista, e questo lo affligge al punto di accarezzare l’idea di cedere il locale ad un vecchio amico, Neumann, implicato in affari non proprio puliti.
Quando anche il fratello di Zinos, Ilias, esce di galera (dove si trovava per furto) e necessita di un lavoro di copertura per giustificare la libertà vigilata durante il giorno, la vita del giovane si complica sempre più, tanto più che si ritrova improvvisamente affetto da un forte mal di schiena e deve tenere a bada Shayn, il bizzoso ma geniale cuoco che lo aiuta a trasformare il Soul Kitchen in un locale di tendenza.
All’indomani della proiezione veneziana (segnata da un considerevole successo di pubblico), la critica si è affannata a trovare il pretesto del divertissement d’autore per l’imprevista e improbabile virata alla commedia e al grottesco di Fatih Akin, altrove autore attento e pensoso (La Sposa Turca, Ai Confini del Paradiso).
In realtà, un lavoro tanto smaccatamente audience friendly sembra tentare di attrarre spettatori indifferenziati per gusto, forse guardando all’incredibile trionfo di The Millionaire, film che ha saputo coniugare furbescamente tematiche di impegno sociale, tratteggiate invero molto sommariamente, e favola musicale adeguata ai tempi (per quanto nel film di Boyle – altro regista interessante agli esordi ed ormai assorbito dal mainstream – il numero musicale vero e proprio arrivi soltanto alla fine, sotto forma di omaggio a Bollywood).
È abbastanza inutile cercare profondità in Soul Kitchen, non ce n’è. I personaggi, assortiti secondo un caleidoscopio prevedibile, sono privi di spessore e di sfaccettature impreviste: Zinos è impulsivo e pasticcione, ma ha un cuore d’oro, suo fratello Ilias è un simpatico e sentimentale mariuolo (si innamora di Lucia, la cameriera del Soul Kitchen, e non vuole che lei scopra dei suoi trascorsi), persino la fedifraga e snob Nadine, alla fine, presta al suo ex i soldi per ricomprare il ristorante perduto al gioco dall’incorreggibile fratello.
Akin è perfettamente consapevole che il suo film non ha molto da spartire con i lavori precedenti, fin troppo autoriali, e la sua disamina scrupolosa del rapporto degli immigrati con la società occidentale scolora nel grottesco e nell’irrilevanza.
Questo però non giustifica gli eccessi slapstick e le situazioni comiche degne di un film di Alvaro Vitali (allorché Zinos ha una plateale e incontrollabile erezione quando si ritrova tra le mani della massaggiatrice che provvede alla sua schiena), che danno un tono da farsa al tutto e diminuiscono la considerazione che si ha del regista.
Soul Kitchen vuole essere soprattutto una commedia edificante e, nel finale, di sapore natalizio.
Va bene. Forse però era lecito pretendere qualcosa di meno irritante e ruffiano.
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