Una notte da leoni
Titolo originale: The Hangover
USA: 2009 Regia di: Todd Phillips Genere: Commedia Durata: 98'
Interpreti: Ed Helms, Heather Graham, Bradley Cooper, Justin Bartha, Mike Tyson, Zach Galifianakis, Jeffrey Tambor, Ken Jeong, Ian Anthony Dale, Rachael Harris
Sito web: www.hangovermovie.warnerbros.com
Nelle sale dal: 19/06/2009
Voto: 5,5
Trailer
Recensione di: Denis Zordan
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Quattro amici vanno a Las Vegas per l’addio al celibato di uno di loro.
Doug, il promesso sposo con trepidante sposina che lo attende a Los Angeles, sembra il più assennato dei quattro, tanto che il futuro suocero gli affida la sua preziosa, vecchia Mercedes; Alan, suo futuro cognato, è lunatico e imprevedibile; Phil, insegnante, è l’unico già sposato, mentre Stu è un dentista perseguitato dalla pestifera fidanzata, fedifraga confessa. La prevista mini-vacanza di due giorni diventa una piccola odissea al risveglio dalla notte di bagordi che i quattro, inconsapevolmente drogati e dimentichi di tutto, si sono concessi. Doug è svanito, in bagno c’è una tigre, Stu è senza un dente e, come se non bastasse, si ritrovano ad accudire un bimbo di pochi mesi.
Dipanare la matassa non sarà semplice, anche perché gli strascichi della notte brava non tardano a manifestarsi.
Ai conoscitori della commedia demenziale americana il nome del regista Todd Phillips evoca immediatamente un paio di titoli abbastanza importanti quali Old School e Starsky & Hutch. Non perché si tratti di film particolarmente riusciti, anzi, ma perché in qualche modo sono assai rappresentativi di alcuni aspetti salienti di questo genere che ha visto il battesimo con Tutti Pazzi per Mary, Zoolander e, a ben guardare, la serie di American Pie.
Anche sulle riviste italiane (si vedano le recensioni di Luca Bandirali ed Enrico Terrone su Segnocinema e il dossier Frat Pack! di Nocturno) si è posta una certa attenzione al fenomeno della reviviscenza del demenziale, che sembra riecheggiare, in un mutato contesto sociologico, certi umori di fine anni 70-inizio anni 80 (e qui basti rammentare la figura mitica di John Belushi e serie ormai canonizzate quali Porky’s).
Detto questo, Una Notte da Leoni (il titolo inglese del film, The Hangover, letteralmente “postumi di una sbornia”, è certo più onesto di quello italiano, che tenta di catturare qualche spettatore in più rimandando in forma equivoca a Notte Brava a Las Vegas con Cameron Diaz) non è tuttavia toccato dalla grazia dei migliori esemplari del discusso filone – oltre a quelli citati aggiungeremmo almeno Anchorman, 2 Singles a Nozze e School of Rock – ed evidenzia piuttosto la necessità di citare piccoli cult della “fine dell’adolescenza e dell’innocenza” quali Fandango, Cose Molto Cattive (Very Bad Things) e per alcuni versi Swingers, per dare un’impalcatura accettabile al soggetto.
Pista interessante che viene però presto abbandonata dallo script, il quale gioca praticamente subito la carta migliore, ossia la rimozione della notte da sballo nella città del vizio, per sottrarre allo spettatore la conoscenza anticipata degli eventi.
Le situazioni più divertenti (ma non esilaranti) di The Hangover sono in effetti quelle meno prevedibili - dalla gag del cinese che salta fuori tutto nudo fino alla comparsa di Mike Tyson nei panni di se stesso nonché di proprietario del simpatico felino che i nostri eroi devono rendere all’ex campione dei pesi massimi - ma non riscattano lo scialbo ritmo del film, via via più evidente col passare dei minuti. Si potrebbe notare che in assenza di straordinari comedians quali Ben Stiller, Will Ferrell, Jack Black o Steve Carell, la verve dei film del genere non è la stessa, ma sarebbe una spiegazione parziale.
In realtà, considerato l’impegno di Ed Helms e Bradley Cooper e le qualità di Zach Galifianakis (che tratteggia magnificamente l’incredibile Alan), o il sex appeal di Heather Graham (che a 39 anni esibisce un corpo statuario), a funzionare poco sono proprio regia e sceneggiatura, incapaci di sfruttare a dovere il potenziale malinconico e insieme dissacrante della storia per dirci di più dell’incredibile assurdità e incapacità di dare senso alla vita di questi thirty-something.
Il mediocre happy end matrimoniale, ancorché previsto dal principio, non sembra farli riflettere sugli ultimi attimi della loro giovinezza, né la vicenda raccontata è in grado di colpire efficacemente l’istituzione matrimoniale quale sorgente di infelicità (al più lo spettatore ride soddisfatto perché Stu, ormai intrigato dalla spogliarellista, molla finalmente l’insopportabile fidanzata), come per esempio faceva Very Bad Things.
Conformismo inoffensivo, confermato dagli esagitati titoli di coda, e che stride coi modelli succitati cui The Hangover si rifà lasciando l’amaro in bocca: un pizzico di coraggio e qualche battuta velenosa in più e avremmo celebrato il film di Phillips come un interessante antidoto alla carenza di cattiveria e di riflessione che si respira in gran parte del cinema americano degli ultimi tempi.
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