Titolo: In Another Country
Titolo originale: Da-reun na-ra-e-suh
Corea del Sud: 2012. Regia di: Hong Sang-soo Genere: Commedia Durata: 88'
Interpreti: Isabelle Huppert, Kwon Hye Hyo, So-ri Moon, Jung Yu-mi, Moon Sung-keun, Yeo-jeong Yoon, Jun-sang Yu
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Nelle sale dal: 22/08/2013
Voto: 5
Trailer
Recensione di: Domenico Astuti
L'aggettivo ideale: Immobile
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Quest’anno le visioni cinematografiche d’autore promettono delusioni; piani
sequenza interminabili, piani fissi su muri o storielle all’italiana banali e
noiosette.
Nessun film necessario è all’orizzonte, nemmeno se il regista si
chiama Amos Gitai o Tsai Ming Liang; anche i film papabili per un premio a
Venezia come " Die Frau des polizisten " o "Child of God" di James Franco
possono essere definiti dei film importanti o indispensabili.
Forse – perché
ha vinto Venezia, perché è piaciuto a Bertolucci e perché non l’abbiamo ancora
visto – il “ Santo Gra “ – di Gianfranco Rosi, documentario sulle vite di chi
vive intorno alla strada che circonda Roma potrà risollevare un po’ le sorti di
questo inizio di stagione 2013/2014. Oppure c’è " Under the Skin " di Jonathan
Glazer, esaltato nelle riviste internazionali. In questa marea di film modesti
in uscita, non fa eccezione “ In another country “ diretto dal regista coreano
Hong Sang-soo, autore considerato nel suo Paese uno dei maggiori rappresentanti
del Nuovo Cinema Coreano, sconosciuto ai più e con poche chance di diventare un
oggetto d’attenzione del grande pubblico europeo.
Un regista che sembra
apprezzare – come molti suoi colleghi asiatici – la Nouvelle vague francese e
le immerge nei gusti coreani fatti di blanda ironia, ripetizoni di scene e una
leggerezza di tono che a volte sembra un soufflè venuto male. Alcuni
ineterpretano il suo Cinema come realista, altri iperrealista, altri lo
ritengono surreale e quest’ultimo film non ci pone nella condizione di decidere
effettivamente a quale di questi stili possiamo collocarlo.
Anche perché sono
tre piccole storie al femminile, tutte e tre interpretate dalla bravissima
Isabelle Hupper, collocate nello stesso luogo di mare incredibilmente
squallido, con alcuni personaggi che ritornano ma senza definizione e dati
precisi. A questo si inserisce l’ironia coreana sul machismo degli uomini
sinceramente ridicoli e buffi e su piccoli spostamenti umorali dei personaggi.
C’è una giovane donna coreana che fa da sceneggiatrice-demiurgo a tre storie
da lei immaginate e abbozzate su carta. Protagonista di tutte e tre ( la
Hupper ) è una donna francese con lo stesso nome ma che cambia in modo
impercettibile il suo modo di essere. In tutti e tre i casi giunge in un
luogo di mare parecchio squallido, una località chiamata Mohang senza alcuna
attrattive se non per un piccolo faro, affitta una stanza per un giorno,
dialoga con le persone della casa in un inglese che con i coreani è
approssimativo e senza sbocchi, fa conoscenze casuali come quella con un
bagnino rimorchione e allo stesso tempo stupidotto. Nel primo episodio è una
regista francese, nel secondo la moglie di un regista che ha una relazione
extraconiugale con un altro regista, coreano, che giunge in ritardo all’
appuntamento per motivi di lavoro e nella terza è una donna tradita.
In tutti
e tre gli episodi Anne ha qualcosa in comune, è una donna sola, con delle
fragilità e con un bisogno tattile dell’amore. I personaggi che le girano
intorno sono ragazze gentili, mogli gelose, uomini un po’ ridicoli - visti da
noi - ossessionati dalle occidentali e ci provano nelle maniere più strambe.
Il tutto è raccontato con uno sguardo ironico, bonario e ripetitivo per scelta
narrativa. Una ripetitività che oltre ai personaggi, alle inquadrature, ai
dialoghi, alle storie e ai sogni sono la cifra stilistica del film che
richiederebbe allo spettatore una benevolenza e una pazienza che chi vi scrive
non aveva al momento. Certo i riferimenti e i debiti narrativi sono tanti ( Da
“ Gli esercizi di stile “ di Queneau, ai film di Rohmer degli Anni Ottanta, al
Resnais di “ Smoking/No Smoking “ ) il tutto con nonsense, ironia e
iperrealismo coreano che aiuta solo in parte l’esercio di stile dell’autore.
Vogliamo citare qualcuno che ha scritto di questo film “ … In una messa in
abisso autoriale che si dimostra più suggestiva con proporzione diretta
rispetto alla propria artificiosità.
Quasi un loop di situazioni palesemente
stereotipate su seduzione e guerra dei sessi, maschi fedifraghi e attrazioni
inspiegabili… “
Come abbiamo già scritto, Hong Sang-soo, è un regista e sceneggiatore coreano
assai conosciuto nel suo Paese.
Il suo primo film fu un successo straordinario
di pubblico e critica “ The Day a Pig Fell Into the Well “ ( 1996 ).
Anche in
quel caso era uno studio sulla natura umana e le sue debolezze, usando un
timbro stilistico sentimentale ha messo in scena amori e tradimenti. Da
allora ha diretto altri 12 film che non hanno avuto un gran consenso fuori
dalla Corea fatta eccezione per “ Hahaha “, premio come miglior film nella
sezione Un Certain Regarde al Festival di Cannes del 2010,
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