Titolo: Bloody Daughter
Titolo originale: Bloody Daughter
Francia: 2012. Regia di: Stéphanie Algerich Genere: Documentario Durata: 94'
Interpreti: Stephen Kovacevich, Martha Algerich
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Sito web italiano:
Nelle sale dal: Festival di Roma 2012
Voto: 4,5
Trailer
Recensione di: Ilaria Mutti
L'aggettivo ideale: Familiare
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“Bloody Daughter” di Stephanie Argerich al Festival Internazionale del Film di Roma
La regista è figlia di due grandissimi interpreti del pianoforte, Martha Argerich e Stephen Kovacevich. Per lei non è stato facile crescere avendo due genitori divorati dalla passione sconvolgente per il proprio lavoro, dominati dall’ansia di sempre nuove conferme e trascinati, in una vita quasi da nomadi, a suonare sui palcoscenici di tutto il mondo.
Di sicuro non furono oggetto di grandi attenzioni, da parte loro, né la vita familiare, né tanto meno i figli, messi al mondo con grande disinvoltura.
Martha Argerich ha avuto altre due figlie oltre Stephanie, da due uomini diversi e la sua prima figlia fu affidata, per molti anni, ad un istituto, per l’incapacità della madre di prendersene cura. Kovacevich ha altri tre figli con altre madri e non dette il suo cognome a Stephanie, forse per dimenticanza o per pigrizia.
Lei Stephanie, come spesso accade ai figli dei grandi personaggi, ha vissuto una vita subalterna, da brutto anatroccolo, in continua ammirazione di queste figure che hanno sovrastato la sua infanzia e la sua giovinezza. Tant’è vero che quando a 11 anni le regalarono una telecamera, pensò bene di utilizzarla per riprendere sua madre, questa donna bellissima ed eccezionale, spesso soprannominata “Dea.”
Poteva rimanere l’albo di famiglia che si archivia in casa e viene tirato fuori nelle grandi occasioni, invece i video sono diventati una base quando Stephanie ormai grande, dopo aver avuto il secondo figlio, ha deciso di fare un film. Nelle sue intenzioni originarie doveva essere un’opera sui suoi genitori, interpretato dal vivo da loro stessi, colti nella loro intimità, perché, ne era sicura, nonostante la loro ritrosia, non si sarebbero sottratti alla macchina da presa della figlia.
Ma a mano a mano che l’idea prendeva forma, i produttori del film capirono che il terzo interprete di quel difficile quadro familiare, doveva essere la stessa Stefhanie, in quanto la storia era principalmente la sua.
Alla fine mettendo assieme i video della camera amatoriale, una serie di serrate interviste, a volte anche spietate, e utilizzando i preziosi dischi di vinile dove erano registrate le più belle interpretazioni dei due pianisti, è venuto fuori questo documentario.
Immagini biografiche che restano di estremo interesse solo nei confini familiari, mentre la noia ha il sopravvento e solo la magia della musica, suonata con la forza da Martha, ci fanno arrivare alla fine.
“Non è stata una resa dei conti – ha detto Stephanie – ma un tentativo di riconciliazione, un tentativo di adottare una posizione di parità, di entrare nel mondo dei miei genitori e di condurli nel mio”
Peccato che di quest’ultimo proposito restino poche tracce: nonostante tutto, è come se ancora una volta Stephanie sia rimasta schiacciata da queste personalità così eccezionali, ma anche così invasive e assolute e di lei, del suo carattere, dei suoi impulsi poco viene fuori nel documentario, forse qualcosa appena, verso la fine, quando provoca il padre sperando di farsi dare il suo nome.
Un’opera prima che non supera la soglia del filmino di famiglia.
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