Titolo: Risk
Titolo originale: Risk
USA, Germania: 2016. Regia di: Laura Poitras Genere: Documentario Durata: 92'
Interpreti: Julian Assange, Sarah Harrison, Jacob Appelbaum, Joseph Farrell, Renata Avila, Jennifer Robinson
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Nelle sale dal: Biografilm festival 2017
Voto: 7
Recensione di: Anna Maria Pelella
L'aggettivo ideale: Spiato
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Julian Assange è il centro del nuovo documentario di Laura Poitras Risk, presentato l’anno scorso a Cannes e riproposto con un nuovo montaggio al Biografilm Festival.
Il film nasce con l’intento di raccontare il personaggio e l’inizio dei suoi guai con il Dipartimento di Giustizia americano, ma ben presto a causa degli eventi che si sono succeduti da quel primo ciak, il focus si è spostato sulle contraddizioni che la regista ha ravvisato nel modo di porsi di Assange. Il rapporto tra i due si è cominciato a incrinare ai tempi delle accuse di stupro con le quali la Svezia ha cercato di ottenere la custodia dell’uomo al fine di favorirne l’estradizione negli Stati Uniti.
L’atteggiamento di Assange verso queste accuse è risultato sessista alla regista, la quale sceglie di abbracciiare la visione di Sarah Harrison, l’avvocato che da un certo momento in poi smette di collaborare con Assange e si rifiuta di condividere con lui le sue fonti circa i fatti occorsi durante la permanenza di Snowden nell’aereoporto di Mosca.
Se è pur vero che riconosce ad Assange il merito di aver per sempre cambiato il concetto di giornalismo, Laura Poitras si sofferma a lungo sui presunti collegamenti con l’invasione di informazioni fatte fluire dai server russi a cavallo delle ultime elezioni presidenziali.
Come a voler discostarsi dalla responsabilità che, in parte, questa fuga di notizie ha avuto in merito all’elezione di Donald Trump, la Poitras cerca dare risalto al fatto che il Dipartimento di Giustizia americano ritenga che gli haker russi abbiano fatto un uso strumentale delle informazioni simulando, anche in maniera grossolana, il passaggio di queste attraverso le reti di WikiLeaks.
Nel complesso dal film emerge una figura egocentrica, sessista e poco incline alla gestione della sua immagine pubblica. L’unico aspetto positivo, del resto innegabile se solo si pensa al costo effettivo dell’immensa mole di guai che l’uomo si è attirato addosso per il semplice fatto di aver richiamato l’attenzione sulla prima fuga di notizie dai server di WikiLeak ai tempi in cui la Clinton era Segretario di Stato, è quello idealistico. La motivazione che spinge Assange a imbarcarsi ancora oggi nell’ardua impresa di sopravvivere alla persecuzione politica di cui è fatto oggetto, è la sola possibile per spiegare una tale ostinazione: l’idealismo. Assange vuole, a suo dire, lasciare un mondo migliore di quel che ha trovato e il solo modo per contrastare il decadimento della situazione politica mondiale è la diffusione delle informazioni. Affinchè la gente sappia quel che fa quando elegge un presidente o ne appoggia semplicemente la visione.
Assange ritiene che il mondo intero sia affare su cui debbano pronunciarsi tutte le persone di forte tempra morale e il fatto stesso che questo ai giorni nostri sia di fatto impedito è a suo dire la ragione per cui l’accesso alle informazioni deve essere concesso a tutti. Gli strumenti di WikiLeaks sono la porta attraverso cui le persone possono giudicare l’operato dei loro governi e stabilire se questo risponda o meno ai motivi per i quali sono stati eletti.
Laura Poitras ci lascia quindi a interrogarci sull’opportunità di dare o meno fiducia a un uomo la cui figura di fatto è offuscata dal suo carattere schivo e dagli atteggiamenti da lei giudicati sessisti, in un momento storico in cui di fatto il controllo delle informazioni è la chiave d’accesso che consente la comprensione di fenomeni che agiscono su vasta scala, come il terrorismo e le influenze di paesi ostili nella situazione politica degli Stati Uniti e, attraverso questo, di fatto, del mondo intero.
Trailer
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