Titolo: Una passeggiata nel parco
Titolo originale: A Walk in the Park
USA: 2012. Regia di: Amos Poe Genere: Sperimentale Durata: 96'
Interpreti: Michael Laurence, Dorothy Frey
Sito web ufficiale:
Sito web italiano:
Nelle sale dal: Festival di Roma 2012
Voto: 5,5
Trailer
Recensione di: Ilaria Mutti
L'aggettivo ideale: Altalenante
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“Walk in The Park” di Amos Poe, apre Cinema XXI, al Festival Internazionale del Film di Roma.
Cinema XXI è la nuova sezione del Festival Internazionale del Film di Roma, che sostituisce la sezione Extra. Inaugurata quest’anno, ha, come fondamentale finalità espressa, quella di presentare film che esprimano “la ridefinizione del cinema all’interno del continente visivo contemporaneo”.
Anche se la definizione si può prestare a più di un’interpretazione, non c’è dubbio che, uno degli obiettivi sensibili che il Festival vuole affrontare e mettere in evidenza, è quello della
“contaminatio”fra le diverse arti visive e della reciproca influenza che possono generare.
Giusto, quindi, inserire in questa sezione e in concorso, “A Walk in the Park” di Amos Poe, perché si tratta di un’opera, in cui, l’innovazione filmica si vuole esprimere almeno su due livelli, quello dei modi narrativi e quello dell’immagine.
Il genere è, in via di approssimazione riconducibile a un documentario, che si va costantemente a intersecare e fondere con lunghi momenti onirici di pura fiction, dove tutto ruota, metaforicamente e visivamente, attorno al viaggio, all’interno di se stesso, di Brian Fass, uno psicopatico schiavo di una madre padrona.
Erede della “No Wave,” Amos Poe si è proposto un film dissonante nei contenuti e straripante nelle formule visive, ma si può dire che solo quest’ultimo intento gli è riuscito.
Poe si è espresso attraverso immagini in cui si rincorrono, senza un attimo di respiro, - proprio come i pensieri del protagonista - video, installazioni artistiche, foto animate e sovraimpressioni, spesso di rara bellezza e sorprendente novità, come ad esempio le immagini del “Park”, meno contaminate con altre tecniche, ma tutte invase da evocazione e nostalgia.
Purtroppo è la narrazione e la sceneggiatura che non ce la fanno.
Dell’irruenza e dell’irrazionalità devastante, propria della “No Wave”, qui non si va oltre la garbata e contenuta autoironia del personaggio unita a una certa atonalità della voce.
Tutto sommato lo “psichedelico viaggio nel grembo materno”, fra lungaggini, soste e compiacimenti è un po’ noioso.
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