Waiting in the dark
Titolo originale: Waiting in the dark
Giappone: 2006. Regia di: Daisuke Tengan Genere: Drammatico Durata: 130'
Interpreti: Tanaka, Wilson Chen, Haruka Igawa, Koichi Sato, Mao Miyaji, Shiro Sano, Ittoku Kishibe
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Voto: 6,5
Recensione di: Nicola Picchi
Michiru è una ragazza diventata cieca dopo un incidente. Alla morte del padre, decisa nonostante tutto a mantenere la propria indipendenza, si ritrova da sola in una casa vuota dove trascorre le sue giornate in solitudine, tranne che per le occasionali visite di un’amica. Akihiro è un ragazzo che lavora in una tipografia, discriminato e vessato dai colleghi perché di origini cinesi. Non ha amici, e le sue giornate trascorrono tutte uguali mentre dentro di lui si accumulano rabbia e frustrazione. Questi due personaggi sono destinati ad incontrarsi in “Waiting in the dark”, adattamento di un romanzo di Otsuichi (pseudonimo di Hirotaka Adachi) diretto da Daisuke Tengan, figlio del maestro giapponese Shohei Imamura. Una mattina Toshio, uno dei colleghi di Akihiro, viene spinto sotto un treno ed il ragazzo, essendo il principale sospettato in quanto unico presente alla stazione, si rifugia in casa di Michiru. La ragazza al principio non si accorge di niente, salvo avvertire successivamente attorno a sè una presenza benevola che attribuirà ad un fantasma (forse del padre), tornato per vegliare su di lei. E qui siamo più dalle parti di “Ferro 3” di Kim Ki-duk che non da quelle di “Gli occhi della notte” di Terence Young, a cui il plot assomiglia vagamente. Se nel film di Young la cieca Audrey Hepburn era terrorizzata da un gruppo di criminali, Alan Arkin in testa, in “Waiting in the dark” Akihiro è un angelo custode, che si prende cura di Michiru con fantasmatica discrezione. Il passo lento e rarefatto dei primi due capitoli del film, intitolati rispettivamente “Michiru” e “Akihiro”, ricordano infatti le atmosfere sospese del maestro coreano, lasciando del tutto in ombra il lato “thriller” della vicenda che visibilmente interessa assai poco al regista. Daisuke Tengan sceglie di concentrarsi sul rapporto che lentamente si viene instaurando tra i due protagonisti, costruendo con perizia, attraverso inquadrature spoglie ma dal fascino essenziale, un “mood” se non originale sicuramente suggestivo, come nella riuscitissima scena della cena al tavolo di cucina. Ma Akihiro ha veramente ucciso Toshio?
E se non è stato lui, chi è il vero colpevole? La verità verrà a galla nel terzo capitolo, intitolato “Michiru e Akihiro”, che è anche il meno riuscito dei tre nel suo tentativo di riportare bruscamente il film nei binari di una trama “gialla” più ortodossa, pur senza abbandonare la sua caratteristica compostezza nipponica. La ragazza finalmente si accorgerà della presenza di Akihiro e capirà immediatamente, avendo seguito i notiziari televisivi, che si tratta del ragazzo ricercato dalla polizia. Nonostante questo sceglierà di fidarsi di lui e di aiutarlo nella ricerca del vero colpevole, che le è più vicino di quanto possa immaginare. Naturalmente, anche per motivare una decisione che potrebbe altrimenti risultare improbabile, la sceneggiatura lascia intendere con garbo e delicatezza la nascita di un sentimento profondo tra i due protagonisti, quanto mai appropriato in un film che racconta sostanzialmente l’incontro di due diverse solitudini.
Ottimi e misurati i due protagonisti, Rena Tanaka ed il taiwanese Wilson Chen Bo-lin, che sostengono degnamente i 130 minuti di durata di una pellicola certamente apprezzabile, a patto di essere disposti a sincronizzarsi con la sua andatura, ma in parte irrisolta.
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