Agora
Titolo originale: Agora
Spagna, USA: 2009 Regia di: Alejandro Amenábar Genere: Drammatico Durata: 127'
Interpreti: Rachel Weisz, Max Minghella, Oscar Isaac, Ashraf Barhom, Michael Lonsdale, Rupert Evans, Richard Durden, Sami Samir, Manuel Cauchi, Homayoun Ershadi, Oshri Cohen, Harry Borg, Charles Thake, Yousef 'Joe' Sweid
Sito web: www.agoralapelicula.com
Nelle sale dal: 23/04/2010
Voto: 6
Trailer
Recensione di: Anna Maria Pelella
L'aggettivo ideale: Perseguitato
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il
Pressbook
del film
"Questa recensione è stata scritta con l'esplicito intento di divulgare notizie su un film la cui distribuzione è a tutt'oggi abbondantemente ostacolata in Italia, con metodi che ricordano assai da vicino la censura.
L'autore si prefigge di raccontare al pubblico, che non ha ancora avuto modo di vedere il film, quanto le tematiche affrontate possano ancora adesso risultare indigeste, al punto tale da indurre i distributori a procrastinarne indefinitamente l'uscita.
Infine il movimento di raccolta firme in rete per consentire l'uscita nelle sale del film pare abbia ottenuto una data di possibile distribuzione che a tutt'oggi non è del tutto confermata: il 30 aprile 2010."
Alessandia d'Egitto, quarto secolo dopo Cristo. Ipazia, figlia di Teone ultimo custode della Biblioteca di Alessandria, insegna filosofia e astronomia durante il periodo di recente insediamento dei cristiani a seguito dell'Editto di Costantino, che garantisce la libertà di professare la propria affiliazione al culto cristiano. Ipazia viene dapprima estromessa dal proprio ruolo di insegnante e, a seguito del suo rifiuto di aderire al nascente culto, uccisa dai fondamentalisti cristiani.
Molti secoli dopo i suoi studi e le sue intuizioni sul movimento degli astri, in totale opposizione con la teoria geocentrica abbracciata dal pensiero dell'epoca, si riveleranno esatti.
Molto è stato detto su questo lavoro che in sostanza è un biopic incentrato intorno a una figura storica su cui non è ancora stata fatta piena luce, ma quello che alla fine risulta il vero centro del racconto è la mitica Biblioteca di Alessandria. Centro delle arti e indiscusso forziere della scienza dell'epoca, la Bibilioteca di Alessandria andò completamente distrutta a seguito dell'ingresso dei cristiani all'interno delle sue mura.
Pertanto, se accettiamo per vera la ricostruzione storica di Amenábar, il punto nevralgico dell'intera vicenda è il fatto che lo studio della filosofia e dell'astronomia fosse all'epoca nelle mani di una donna. Fatto questo che deve aver dato molto fastidio alla nascente cultura del controllo delle minoranze messo in atto all'inizio della colonizzazione/massificazione cristiana seguita all'editto di Costantino.
Ipazia è una donna dalle idee libere, innovative e una persona incontestabilmente intelligente. Molti tra i suoi allievi occuperanno posti di prestigio anche sotto la nascente invasione/colonizzazione cristiana. Ma quello per cui la cristianità dell'epoca proprio non riuscirà a trovare un posto è l'inquietante idea che dietro lo studio delle scienze ci possa essere una donna.
Il potere e la cultura quindi sono nelle mani di un elemento considerato marginale dai vescovi del tempo, e neanche totalmente accettato da quelli attuali. Prima i pagani, poi gli ebrei e infine le donne saranno oggetto di caccia spietata, quest'ultime per il semplice rifiuto di piegarsi alle direttive incredibilmente restrittive del nascente regime cristiano.
Il racconto si svolge dunque davanti all'occhio inorridito dello spettatore che, seppur scegliendo di perdonare eventuali onanismi espressivi il cui significato reale ci si immagina lost in traslation, non potrà in nessun caso rimanere insensibile di fronte alla distruzione della Biblioteca. Non certo per il presupposto in sé, che richiede un amore smisurato per l'oggetto libro, quanto per la maestà della scena evocativa e sanguinosa di cui Amenábar si è servito per veicolare il suo messaggio.
Formiche impazzite entrano all'interno di un tempio del sapere e vi conducono le capre.
Cosa si può mai immaginare di più dissacratorio?
A questo punto si è già abbondantemente superato l'imbarazzo iniziale per il fatto di trovarsi di fronte a una storia di cui ormai importa poco a tutti, essendo più che chiari i limiti di un fondamentalismo culturale, dal momento che l'intolleranza religiosa ha di recente assunto gli onori della cronaca e pertanto il tema in sé viene costantemente rinnovato da nuove atrocità.
Certo, il fatto che gli attuali paladini della difesa della cristianità di fronte all'invasione del pensiero islamico, gli eredi di quei cristiani che per esser stati a loro volta perseguitati seguitarono a perseguitare, si trovino di fronte a quello che è stato il loro primigenio metodo di estirpazione del dissenso può per lo meno far riflettere, se non sorridere, chi da anni si trova sotto il dominio incontestato di un pensiero unico, mai contrastato e i cui oppositori sono finiti al rogo da secoli.
Amenábar costruisce con amore il suo scenario, immagina una Biblioteca primigenia la cui bellezza deve esser pari alla reale e mai dimenticata alessandrina, i suoi personaggi vengono delineati con una passione totale da tutti, su cui spicca in particolare l'impeto inaspettato di Rachel Weisz.
La regia e la fotografia hanno il potere di trascinare lo spettatore in un mondo perso per sempre, ma dal quale mai ci si è potuti emancipare.
Ma alla fine quello che rimane nel cuore dello spettatore è il sentimento di gravissima ingiustizia di fronte all'avanzare del buio dopo anni in cui la luce era stata data talmente per scontata da non accorgersi della sua esistenza fino a un minuto prima della sua stessa scomparsa. Una società in cui le donne, gli ebrei e i cristiani avrebbero potuto vivere in armonia si trasforma presto in un'utopia, e quel che resta sono solo macerie, animali nei luoghi del sapere e animali per le strade, questi ultimi vestiti di abiti sfarzosi e di invasata superiorità religiosa.
La stessa che vediamo di recente e sempre più spesso nel telegiornale della sera.
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