Il bambino con il pigiama a righe
Titolo originale: The Boy in the Striped Pyjamas
USA, Regno Unito: 2008. Regia di: Mark Herman Genere: Drammatico Durata: 100'
Interpreti: David Thewlis, Vera Farmiga, Rupert Friend, Iván Verebély, Richard Johnson, Sheila Hancock, Jim Norton, David Heyman, Asa Butterfield
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Nelle sale dal: 19/12/2008
Voto: 9
Trailer
Recensione di: Piergiorgio Ravasio
Una significativa ed eloquente inquadratura dà il via ad un insolito film natalizio targato Walt Disney.
Il montaggio di un bambino e dei suoi amici che, tornando a casa da scuola, attraversano le strade facendo finta di essere piloti di aerei bombardieri, volando attraverso una piazza elegante. È il fascino di una guerra che li seduce, li attrae, li coinvolge e li farà diventare adulti.
Alcuni minuti dopo, la guerra assume un'altra immagine: quella di due ragazzini di otto anni. Uno seduto di fronte all'altro. Bruno, curato, ben vestito, esploratore per natura e ben curioso di conoscere e sapere. Shmuel è un coetaneo, capelli rasati a zero, una povertà e una miseria che gli si leggono negli occhi. Indossa un curioso pigiama a righe sopra il quale è riportato un numero.
In mezzo a loro un recinto con filo spinato che impedisce il contatto fisico ma che, soprattutto, diventa il simbolo di una inequivocabile separazione tra due vite diverse e dai destini tracciati. Siamo in un campo di concentramento. Girato nelle location e negli studi ungheresi in nove settimane nell'estate del 2007, il film è tratto dal premiato romanzo di John Boyne, grazie all'adattamento e alla regia di Mark Herman ("Grazie, signora Thatcher"). Un romanzo, quello di Boyne, pubblicato all'inizio del 2006 e che conquista rapidamente un pubblico internazionale fatto sia da ragazzi che da adulti. Opera di fiction, incentrata su uno dei periodi più bui della storia, "Il bambino con il pigiama a righe" è una favola che offre una prospettiva unica sugli effetti del pregiudizio, dell'odio e della violenza sulle persone innocenti - in particolare i ragazzi - durante il tempo di guerra.
Attraverso gli occhi di un fantasioso ragazzo tedesco di otto anni, che viene tenuto all'oscuro della realtà bellica, lo spettatore diventa testimone di un'amicizia proibita che si sviluppa tra Bruno, figlio di un comandante nazista, e Shmuel, un ragazzo ebreo imprigionato in un campo di concentramento. Sebbene i due siano divisi fisicamente da un recinto di filo spinato, le loro vite diventeranno inesorabilmente legate.
Partiamo dal presupposto che un lavoro di immaginazione ambientato nel periodo e nei territori dell'Olocausto è un tema controverso. L'unico modo rispettoso di affrontare questo argomento era quello di narrarlo attraverso l'innocenza, grazie ad una favola raccontata dal punto di vista di un bambino certamente ingenuo, che ovviamente non può comprendere gli orrori che lo circondano.
Toccato dalla grazie dell'arte della regia, Herman licenzia un film di grandissimo interesse; un capolavoro fatto in maniera onesta, appassionata e convinta, grazie anche ad uno staff di collaboratori che hanno un grande rispetto e ammirazione sia per i sopravvissuti che per quelli che non ce l'hanno fatta.
Il dramma della Shoah torna a rivivere al cinema grazie a questa storia ambientata nella Germania del 1940, a cui va il plauso per aver approcciato un tema delicato in modo decisamente emozionante ed efficace, concentrando il racconto umano su due ragazzi e una famiglia.
Un dramma umano affascinante ed accessibile, dotato di un messaggio che rimane sempre importante e raccontato in un modo "diverso" per trovare un "nuovo" pubblico. Dove ogni cosa viene vista dall'altra parte del recinto, almeno fino alla conclusione, quando la realtà del campo ci viene mostrata nella sua cruda drammaticità.
A chiunque tornerà alla memoria il film "La vita è bella" del Benigni di casa nostra.
Un altrettanto eccellente capolavoro, universalmente apprezzato. Con la differenza che là il genitore era accanto al figlio per mascherare la realtà. Qui i genitori (o almeno il padre) tacciono intenzionalmente la realtà agli occhi di un bambino che, da solo, e a caro prezzo, dovrà intuire il tutto e diventare adulto a sue spese.
Una favola, certamente. Ma anche un racconto carico di significati importanti; a cominciare dai diversi punti di vista dei componenti la famiglia, destinata a naufragare verso una totale disintegrazione.
Un padre normale, adorabile e allo stesso tempo capace di atrocità terribili.
Una madre, guardiana del recinto, che sceglie di rimanere nell'oscurità, preoccupandosi solo della sicurezza della famiglia e della sua posizione nella società (l'indifferenza, l'apatia, l'ignoranza del mondo che assiste a tanti genocidi senza che nessuno faccia niente).
Una figlia, sedotta dalla retorica, dalla politica e dalla Patria
che non sarà più di compagnia al fratello.
E alla fine c'è lui: quel Bruno che comincia a non credere più alla propria famiglia, con quei suoi occhi affascinanti e penetranti, con quel giusto mix di innocenza e curiosità, con i suoi ingenui interrogativi.
"Cosa succede in questo posto?
Perché ci sono così tante persone dall'altra parte del recinto?"
Domande semplici, esemplari, ma pur sempre gli stessi interrogativi che ancora l'uomo contemporaneo continua a porsi.
Accanto a Bruno colpisce molto anche il ruolo di Shmuel che, con la naturale dignità che lo contraddistingue nonostante i suoi otto anni, riesce a suscitare emozioni senza mai risultare sentimentale.
Con tutti i conflitti che ancora oggi flagellano molte parti del nostro pianeta, questa storia sembra ancora tristemente attuale.
Ogni tentativo di esplorare il cuore oscuro dell'epoca nazista nell'intento di illuminare le nuove generazioni, per non dimenticare o ripetere quello che è accaduto, non è soltanto una buona idea.
É necessario.
Anche se i decenni trascorrono inesorabili, bisogna sempre trovare nuovi modi di raccontare questa storia e ricordare al mondo intero le vite umane che sono state sacrificate.
Il compito di uno scrittore o di un regista è comunque anche questo: continuare a cercare delle risposte. Assicurarsi che queste domande continuino ad essere poste in modo tale che nessuno dimentichi perché devono essere fatte. Mantenere viva la storia in modo da non ripeterla e perché ogni persona possa vedere il mondo con occhi differenti.
Magari cominciando con gli occhi dei nostri stessi ragazzi che, con le loro capacità di superare differenze culturali e di identità, possono ancora salvare questo nostro mondo.
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