Il padre dei miei figli
Titolo originale: Le père de mes enfants
Francia: 2010. Regia di: Mia Hansen - Love
Genere: Drammatico
Durata: 110'
Interpreti: Chiara Caselli, Louis-Do de Lencquesaing, Alice de Lencquesaing, Alice Gautier, Manelle Driss, Eric Elmosnino, Sandrine Dumas, Dominique Frot, Djamshed Usmonov, Igor Hansen Love, Magne Håvard Brekke, Eric Plouvier, Michael Abiteboul, Philippe Paimblanc, André Marcon
Sito web: www.filmsdulosange.fr/fr/fr_peredemesenfants.html
Nelle sale
dal: 11/06/2010
Voto: 7
Trailer
Recensione di: Francesca Caruso
L'aggettivo ideale: Coraggioso
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La regista e sceneggiatrice Mia Hansen – Love ha già all’attivo due lungometraggi che hanno destato attenzione e successo, nonostante la sua giovane età, ha realizzato due opere che hanno vinto dei premi. Il padre delle mie figlie è il suo secondo film ed è stato vincitore del Premio Speciale della Giuria nella sezione “Un Certain Regard” al Festival di Cannes, confermando il talento della giovane artista che ha esordito con “Tout est pardonné”.
L’idea di realizzare questo film deriva dall’esperienza personale della regista, dal suo incontro con il produttore cinematografico Humbert Balsan, un anno prima che si togliesse la vita (il 10 febbraio 2005). Balsan aveva intenzione di produrre il suo film d’esordio, e in quest’opera c’è una traccia ben delineata di questa volontà.
Grégoire Canvel è un produttore cinematografico, sempre in movimento e soprattutto sempre al telefono. Ha una bella famiglia formata dalla moglie e dalle loro tre figlie, che adora. Con la sua compagnia, l’indipendente Moon Films, sta producendo più film contemporaneamente, tutti in fase di compimento, ma quello del regista Stig Janson gli dà parecchi grattacapi finanziari a causa delle esigenze e pretese dello stesso regista. Un evento sconcertante invade la vita della sua famiglia, che si troverà a dover fronteggiare delle situazioni a cui nessuno è preparato.
L’allora esordiente Mia Hansen – Love ha conosciuto Balsan nel 2003, durante un festival del cortometraggio, ricevendo un premio, per il suo primo corto, dalle sue mani. Humbert Balsan credeva nei giovani autori e puntava su di loro, come pure sui cineasti mediorientali, le cui opere, grazie al suo intuito, sono arrivate in Europa. Era un uomo che amava il cinema, carismatico, generoso e aperto al nuovo.
Quella delineata dalla regista non è in tutto e per tutto la biografia di Balsan, il privato che Hansen – Love mette in scena deriva dalle intuizioni di un anno di rapporto professionale e dai racconti della moglie.
La cineasta ha voluto giocare sui contrasti felicità – tristezza e speranza – disperazione e per ampliare e soffermarsi in egual misura su questi sentimenti, ha optato per una struttura diversa dal solito, una struttura in cui la morte del personaggio avviene a metà della narrazione, né all’inizio, né alla fine. Hansen - Love dà spazio, nella prima parte, alla vita familiare e a quella lavorativa di Grégoire, il rapporto che ha con le figlie e la moglie, che lo amano e lo vogliono di più a casa, che si distacchi almeno in vacanza dal suo cellulare, e il rapporto che ha con i dipendenti, che lo aiutano per quanto possibile.
Al tempo stesso si vede profilarsi la sua solitudine, dovuta alla mancanza di comunicazione, riguardo ai problemi finanziari nei quali sta sprofondando sempre di più e dei quali non parla neanche a sua moglie, tenendo questo peso enorme sulle sue sole spalle. Nella seconda parte si dà ampio respiro all’elaborazione del lutto e alla figura della figlia maggiore, che sembra incanalare su di sé l’eredità spirituale del padre e arrivare a conoscerlo meglio fino a giungere a una maggiore comprensione di Grégoire, che prima di essere un padre è un uomo.
Molti sono gli aspetti che emergono in questo film, tutti trattati con tatto, senza retorica, quasi in punta di piedi e rispettosamente. Il tema dell’incomunicabilità e della solitudine di un individuo sono strettamente correlati, poi il senso di perdita e il superamento del dolore, la necessità di andare avanti unita alla voglia di farlo, infine, ma non meno importante, l’amore per il cinema, per la settima arte visto dal di dentro, visto attraverso lo sguardo di una persona che vive d’arte, crede nelle potenzialità umane che, se hanno la possibilità di essere messe a frutto, sono grandiose.
Non vi si racconta solo la storia di un personaggio, il film tratteggia una visione più ampia, ovvero l’amore per la vita e l’amore per il cinema, il senso della famiglia.
Un altro aspetto che sgorga è il pudore di tenere per sé le situazioni negative da parte di lui, e il pudore di non chiedere del lavoro del marito, se non è lui a prendere l’iniziativa, da parte di lei, che Mia Hansen – Love ritiene essere parte integrante della “sfera di libertà personale” di un individuo.
La saggezza, la calma, la lucidità, la forza e l’energia, la mancanza di risentimento sono tutte peculiarità insite nella figura di Sylvia, la moglie di Grégoire, che la regista ha trovato in Chiara Caselli. L’attrice ha reso al meglio il suo personaggio, rendendola una donna forte, “di una forza naturale non ostentata”, per stessa ammissione di Caselli. Tutti gli attori sono stati perfetti infondendo quella veridicità di cui la regista ha dotato i personaggi, non più figure sullo schermo, ma persone reali e autentiche.
Il padre delle mie figlie è un film che riesce a parlare di tematiche importanti con delicatezza senza appesantire lo stato d’animo dello spettatore, infondendo liricità ad alcune scene, pacate ma di forte impatto emotivo.
Il cinema è vita, anche e soprattutto per Mia Hansen – Love, che parla del lavoro cinematografico trattando gli aspetti positivi, ma evidenziando anche quelli negativi, che difficilmente lo spettatore può conoscere, se non chi è del settore e riesce a farlo con una naturalezza e un’abilità che non si trova ovunque.
È un film che ha già conquistato molti e che ha le carte in regola per piacere a tutti.
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