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Il papà di Giovanna PDF Stampa E-mail
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Scritto da Piergiorgio Ravasio   
martedì 07 ottobre 2008

Il papà di Giovanna
Titolo originale: Il papà di Giovanna
Italia: 2008. Regia di: Pupi Avati Genere: Drammatico Durata: 104'
Interpreti: Silvio Orlando, Francesca Neri, Ezio Greggio, Alba Rohrwacher, Serena Grandi, Gloria Cocco
Sito web: www.ilpapadigiovanna.it
Nelle sale dal: 12/09/2008
Voto: 7
Trailer
Recensione di: Piergiorgio Ravasio

ilpapadigiovanna_leggero.jpegGiovanna Casali, giovane ragazza della provincia bolognese, spinta da questioni di gelosia, uccide la sua migliore amica finendo in un carcere psichiatrico di Reggio Emilia.
A farle compagnia durante gli anni bui della sua vita ci sarà solo il padre – insegnante nella stessa scuola in cui studiava la figlia – con i suoi sensi di colpa e rimorsi per l'eccessivo attaccamento verso la ragazza e per non averle permesso, nonostante gli ammonimenti della moglie, di costruirsi liberamente la propria esistenza.

Dopo gli horror (“Zeder” e “La casa dalle finestre che ridono”), i vari ricordi di feste campagnole (“Storie di ragazzi e ragazze”), la monotonia di certi lavori (“Impiegati”), le partite a poker (“Regalo di Natale”), il viaggio di un figlio per il matrimonio della madre (“La seconda notte di nozze”) e il tentativo di sistemare un padre sulla via del tramonto (“La cena per farli conoscere”), Pupi Avati torna nella sua amata Bologna per continuare a narrare storie sugli uomini. Scrupoloso come sempre nella cura dei minimi dettagli, il regista riprende ad esplorare la tematica del delicato rapporto tra un padre e sua figlia; un'acuta e profonda riflessione sulla figura paterna e il rapporto molto stretto, di grande complicità, tra i due consanguinei,
calato in quella Bologna del 1938 dove, da sempre, la sua immaginazione riesce a spaziare libera da incertezze; dove lui ha avviato la conoscenza della vita e di tutto ciò che lo ha segnato in modo indelebile.
Presentato in concorso alla 65esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, l'opera è risultata molto convincente per la sua intensità sia da un punto di vista narrativo che dal punto di vista del coinvolgimento emotivo.
Un buon mix di generi che, dal thriller, passando per un contesto storico ben preciso (la Seconda Guerra Mondiale), arriva al dramma familiare del tentativo ostinato di un padre di soccorrere
costantemente e ossessivamente sua figlia in ogni sua azione, fino al punto in cui la ragazza giunge a compiere un gesto sconsiderato.
Pellicola dal tono inconfondibile, molto lontana tanto dal comico e dal grottesco che hanno fatto grande la commedia italiana, quanto da quella forma di intellettualismo molto ricercata nel cinema d'autore nazionale.
Un cinema che, percorrendo strade attraversate da forti tensioni personali, si colloca su un terreno molto diverso dalle classiche mode produttive italiane e, in ogni caso, sicuramente lontano da quell'interesse popolare diretto principalmente verso la commedia leggera.

Qui non c'è da ridere o divertirsi. Non si entra in sala per uno svago di un'ora e mezza.
Qui si assiste alla vicenda umana di un padre, vissuta soprattutto attraverso i suoi occhi, dove lui avverte in maniera sempre più pressante la sua responsabilità per quanto commesso dalla figlia e per l'infelicità della sua esistenza.
Qui siamo invitati ad interrogarci ancora di più sulla responsabilità e sulla fatica di quel mestiere particolare che è il genitore.
Qui ci invitano a riflettere sulla delusione delle aspettative dei nostri figli e sulle conseguenze, a volte tragiche e devastanti, che si possono determinare.
A farci gettare lo sguardo sul mondo, sui sentimenti e sulle aspettative dei vari personaggi è un cast sicuramente all'altezza della situazione e di tutto rispetto che, il direttore d'orchestra Pupi
Avati, dirige con grande maestria.
Personaggi ben definiti, come il regista ha dimostrato di saper sempre fare, e che vedono in prima linea uno strepitoso Silvio Orlando nel ruolo del padre (con tanto di premio per la sua indimenticabile interpretazione).
Volto tra i più rappresentativi del cinema d'autore italiano contemporaneo, attore che si attiene sempre ad una recitazione sobria e misurata, che ha recitato sotto la direzione dei vari Nanni Moretti, Paolo Virzì, Carlo Mazzacurati e Antonello Grimaldi, Silvio Orlando è il terzo insegnante della filmografia di Avati.
Dopo il Carlo Delle Piane di “Una gita scolastica” e il Neri Marcorè di “Il cuore altrove”, eredita da quei caratteri alcuni aspetti riconducibili ad un eccesso di sensibilità, ma con un cambio di registro che converte la commedia in dramma.

Intensità espressiva da manuale del perfetto attore, personaggio complesso, sfaccettato e molto umano, è lui il perno dell'intera pellicola e attorno al quale ruota l'intera vicenda.
È lui l'artefice di quell'amore eccessivo e iper protettivo per la figlia che la renderà immatura e non pronta ad affrontare la vita fuori dal nucleo familiare.
È sempre lui a non percepire quel disagio giovanile che sfocerà in un legame morboso dal quale, però, viene escluso l'altro genitore.
Nel ruolo di quella madre che (a differenza del marito) nessuno vorrebbe avere accanto a sé, Francesca Neri riconferma senza incertezza alcuna il suo straordinario talento interpretando una donna incapace di esserlo fino in fondo.
Donna lontana e poi, una volta ferita e sconvolta per l'accaduto, incapace di reagire, Delia (questo il suo nome) non ha un grande rapporto con la figlia, dalla quale si sente esclusa.
Vittima dei suoi limiti e delle sue incapacità, quando arriva l'evento tragico che rende Giovanna un'omicida, lei non riuscirà ad accettarlo e a difenderla come farà invece suo marito.
La tragedia, già conseguente ad un matrimonio senza entusiasmi particolari, la porterà a rinnegare la propria famiglia, a non rivedere più Giovanna e a chiudersi in se stessa con una grande disperazione interiore.
Una commedia insolitamente dura, aspra e drammatica a cui un contributo va riconosciuto anche ad Ezio Greggio (ispettore di polizia e amico di famiglia), mezzo busto storico di “Striscia la notizia” e di tante commedie firmate dai più importanti registi della comicità italiana (Carlo Vanzina, Castellano e Pipolo, Enrico Oldoini e Neri Parenti).
Attore che Pupi Avati ha il merito di sdoganare levandogli gli abiti del personaggio televisivo e della commedia, dando spazio ad un lavoro completamente diverso e ad una buona prova di attore con tutta l'umiltà del caso.
E come trascurare, alla fine di tutto, lei: la protagonista principale. Quella Giovanna (la Alba Rohrwacher di “Mio fratello è figlio unico”, “Giorni e nuvole”, “Riprendimi” e “Caos calmo”), dal
ruolo tutt'altro che seducente, che, seppur molto giovane, già dimostra grande talento e sensibilità.

Padre, madre e figlia: famiglia come istituzione, ma anche come luogo in cui i figli devono crescere.
Ma fino a che punto può arrivare l'amore di un genitore per la propria creatura? Quanto è giusto perdere la propria vita per dedicarsi interamente a quella della propria figlia?
Quanto è doveroso che i genitori incidano nella formazione dei propri
figli? Interrogativi a cui la pellicola non pretende di rispondere ma che, con altrettanta delicatezza e tono molto sommesso, sembra voglia insinuarci qualche altro dubbio.
Che la famiglia, da sola, non basti più come luogo principale per la crescita delle nuove generazioni?

 
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