Il posto delle fragole
Titolo originale: Smultronstället
Svezia: 1957. Regia di: Ingmar Bergman Genere: Drammatico Durata: 95'
Interpreti: Victor Sjöström, Bibi Andersson, Ingrid Thulin, Gunnar Björnstrand, Jullan Kindahl, Folke Sundquist
Sito web:
Nelle sale dal: 1958
Voto: 9
Recensione di: Biagio Giordano
“La verità è che io vivo sempre nella mia infanzia, giro negli appartamenti in penombra, passeggio per le silenziose vie di Uppsala, mi fermo davanti alla Sommarhuset ad ascoltare l’enorme betulla a due tronchi. Mi sposto con la velocità di secondi.
In verità, abito sempre nel mio sogno e di tanto in tanto faccio una visita alla realtà”.
Ingmar Bergman, dalla biografia “Lanterna magica”
Questo capolavoro di Bergman viene oggi riproposto da Ciak Cult Movie in DVD.
E’ in vendita nelle edicole e in alcune librerie. Il film è un’opera d’arte sulla memoria. Bergman comunica con una simbologia molto curata alcune questioni esistenziali presenti nella società svedese e nella cultura occidentale alla fine degli anni’50. Il regista mette a fuoco alcuni problemi etici a lui congeniali, datati ma ancora di grande interesse, legandoli a interrogativi sulla conflittualità cui porta la ricerca della verità inconscia. Quest’ultima risulta protagonista delle scene del film e mette in evidenza il contrasto tra teologia e scienza, il conflitto tra sessualità sublimata e virilità aggressiva, e il disagio che si manifesta a volte tra la flemma caratteriale e comportamentale dello studioso geniale e l’immediatezza briosa e gioiosa a cui richiama la donna nella vita quotidiana.
Anche la morte in Bergman ha un ruolo importante, qui appare come volto sconosciuto e senza tempo che, riaprendo con la sua forza l’inconscio, porta alla resa dei conti l’egoismo rimuovente di Isak, professore di talento ma introverso e solitario. La morte si fa sentire attraverso i sogni come prefigurazione tetra e paurosa del proprio cadavere. Orrore di se stesso, di un corpo privo di ogni difesa? La morte diventa sempre più ossessiva fino al punto di rendere Isak misteriosamente colpevole. Colpevole di aver trasmesso poco delle sue gioie agli altri? Di averle rese troppo sterili? La solitudine in Bergman è problematica. Non è un problema in assoluto. E’ ambigua. Psicologicamente Isak sembra l’esito sofferto ma inevitabile di una vita dedicata alla scienza. Effetto cupo del dovere etico di servire solo la verità. Quest’ultima è servita da Isak fino al punto di trascurare il desiderio delle donne interessate a lui.
Una solitudine che poteva essere anche serena, lontana com’era dai dispiaceri dovuti alle passioni sensuali e simboliche se in Isak non fosse intervenuto, a riaprire vecchie ferite della sua storia, l’annuncio dell’assegnazione di un premio importante alla carriera, da ritirare a Lund. Da quel momento il suo immaginario si mette in tensione: i contenuti delle rimozioni avvenute in Isak si dispiegano in forme originali di ricordi. Bergman le ha elaborate scenicamente con grande credibilità, riuscendo a darle una buona comunicazione visivo-simbolica. Isak ritesse l’immaginario della sua storia spinto dal bisogno di trovare pace da essa. Lo fa durante il viaggio che lo porterà a ritirare l’importante riconoscimento professionale. La notizia del premio che andrà a ritirare a Lund fa sorgere in lui anche un sogno con protagonista la morte. Il professore esce da un torpore esistenziale che durava da tempo.
La sua memoria si risveglia ma con impeto binario vita-morte. Travolto dall’inconscio perde completamente il controllo del suo ruolo di personaggio di genio. Diventa umile e infantile e vaga alla ricerca di quel perdono che egli non ha saputo dare ai suoi pazienti. Perdono che era doveroso per la soddisfazione che egli traeva dalla loro cura. Le pulsioni di vita destate dal “premio” richiamano, lungo un tragico rimando, le pulsioni di morte. Con quest’ultime si ridestano i sensi di colpa per non essere riuscito a rendere felici le donne con cui è vissuto. Un impasto pulsionale nuovo, congeniale alla teoria freudiana, che testimonia alcuni delineamenti strutturali del suo inconscio. Inconscio che insorge dal nulla del tempo, riflettendo in forma visiva il senso degli episodi depressivi della sua storia. Inconscio che in precedenza giaceva assopito nella forza ammaliante di un isolamento aristocratico.
Gli episodi storici che pesano sul professore si ripresentano alla sua coscienza con dolore e rammarico ma sempre con un desiderio dell’Io di umana comprensione delle loro logiche più intime. Attraverso il racconto esse divengono per lo spettatore vie di cultura perché istruiscono sul senso del desiderio.
I ricordi più dolorosi riguardano vicende in cui Isak constata l’impossibilità di avere la fedeltà tutta della donna, in particolare rispetto all’amore sensuale. La donna rimane per Isak una madre virtuosa e comprensiva.
Su questo la memoria è impietosa richiamandolo ad eventi traumatici e umilianti verso terzi di grande lavoro onirico.
La rielaborazione della sua storia riporta la serenità al professore che ritrova attraverso il dialogo con tre giovani compagni di viaggio il piacere del ruolo di anziano saggio e umile. Saggio per il dolore vissuto.
Umile per il suo amore della verità. Isak alla fine capisce con soddisfazione che nonostante tutto è diventato un punto di riferimento di affetto e autorevolezza per i giovani che incontra nel suo cammino.
Autorevolezza per le virtù che è in grado di richiamare e affetto per il suo modo gentile di porsi in rapporto con gli altri.
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