L’Altra Verità
Titolo originale: Route Irish
Gran Bretagna, Francia, Belgio, Italia, Spagna: 2010. Regia di: Ken Loach
Genere: Drammatico
Durata: 109'
Interpreti: Mark Womack, Andrea Lowe, John Bishop, Geoff Bell, Jack Fortune, Talib Rasool, Craig Lundberg, Trevor Williams, Russell Anderson, Jamie Michie, Bradley Thompson, Daniel Foy, Najwa Nimri, Maggie Southers, R David, Anthony Schumacher, Gary Cargill, Donna Elson, Stephen Lord, Jaimes Locke
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Nelle sale
dal: 22/04/2011
Voto: 7,5
Trailer
Recensione di: Daria Castelfranchi
L'aggettivo ideale: Politically Incorrect
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Non è estraneo alle guerre Ken Loach: basti pensare al suo Terra e libertà, sull’idealismo della guerra di Franco o anche, seppur velatamente, a Il vento che accarezza l’erba, sull’agognata indipendenza dell’Irlanda del Nord.
L’altra verità mostra però un regista diverso, in un contesto a lui nuovo e insolito, con un film che affronta un tema tanto attuale quanto scottante e vari tipi di dramma.
Dal quello della guerra, alla perdita del migliore amico, dalla vendetta all’abbandono, fino alla ricerca di se stesso da parte del protagonista: un uomo che ha perso la sua anima nel deserto dell’Afghanistan e cerca di recuperare il suo vecchio io, quello che saltava la scuola per bere vino scadente sul traghetto di Liverpool, insieme al suo amico.
L’altra verità è una storia di amicizia e morte che Loach racconta in maniera cruda, realistica, ma al tempo stesso commovente e appassionante. E’ una pellicola che ha in sé thriller, dramma e film di denuncia. Noto per i suoi film impegnati, come si è soliti definire quelle opere che trattano il sociale, l’attualità, gli argomenti politically incorrect, anche questa volta il regista britannico non si esime dal lanciare accuse nei confronti non tanto dei mercenari, “esseri umani che si vendono come puttane per soldi”, quanto contro chi gestisce questi contractor e i contratti da milioni di sterline che derivano dal loro impiego nei paesi stranieri in stato di guerra.
Ed anche verso i soldati americani, abili torturatori di ostaggi, il cui motto è: “niente sangue, niente peccato”, a significare che gli omicidi per soffocamento o scosse elettriche, senza spargimenti di sangue appunto, sono leciti.
Senza raccontare la trama nel dettaglio, possiamo solo dire che la sceneggiatura vanta un buon intreccio e un finale shock: il copione di Paul Laverty studia a fondo i personaggi e scava nel loro io, mostrandoci uomini e donne distrutti.
Perché la guerra è questo: distruzione. “Non si torna dall’Afghanistan o dall’ Iraq per poi andare tranquillamente in un centro commerciale”. Dopo essere stati nell’esercito britannico, Fergus convince Frankie a diventare contractor per una società privata.
Ultima possibilità per fare un mucchio di soldi. Ma Frankie viene ucciso e ben presto Fergus capisce che dietro al presunto attentato si nasconde qualcosa di più grande e molto losco. Inizia così a indagare, inimicandosi una serie di vecchie conoscenze che non vogliono che scopra la verità.
Il film incede tra un presente carico di tensione e azione, e flashback pieni di nostalgia.
Ken Loach ha fatto molte ricerche e parlato con varie persone e contractor: ha voluto che anche gli attori si documentassero su una realtà tanto tragica quanto poco conosciuta.
Il risultato è sorprendente, soprattutto se si pensa che Mark Womack (Fergus) e Andrea Lowe (Rachel) sono alla loro prima esperienza sul grande schermo e che John Bishop (Frankie) è un cabarettista.
Il dramma della guerra con i suoi traumi psicologici, viene messo in scena con una storia toccante e assolutamente realistica.
In sostanza, l’ultimo, bellissimo, film di Ken Loach, è di quelli che lasciano l’amaro in bocca e una rabbia che affiora pian piano lungo il corso della vicenda. Ma è una rabbia che non porta da nessuna parte perché, a costo di sembrare moralisti o pessimisti, nulla si può di fronte a cotanto potere e cotanto flusso di denaro.
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