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La ciociara PDF Stampa E-mail
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Scritto da Biagio Giordano   
venerdì 05 novembre 2010

La ciociara
Titolo originale: La ciociara
Italia: 1960 Regia di: Vittorio De Sica Genere: Drammatico Durata: 105'
Interpreti: Jean-Paul Belmondo, Sophia Loren, Raf Vallone, Eleonora Brown, Renato Salvatori, Andrea Checchi, Carlo Ninchi, Emma Baron, Franco Balducci, Vincenzo Musolino, Pupella Maggio, Luciano Pigozzi
Sito web: 
Nelle sale dal: 1960
Voto: 6,5
Trailer
Recensione di: Biagio Giordano
L'aggettivo ideale: Furbo
Scarica il Pressbook del film
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la_ciociara_leggero.jpegNell'estate  del 1943 Cesira (Sophia Loren), giovane e bella vedova, proprietaria di un piccolo negozio di alimentari nel quartiere romano di Trastevere, ex contadina, lascia, con un plico di banconote nel seno, la capitale a causa dei forti bombardamenti sulla città, la donna porta con sé la bellissima figlia tredicenne Rosetta (Eleonora Brown),  le due attraverso un faticoso viaggio in un treno affollato e a piedi su strade polverose si rifugiano presso dei parenti abitanti in un paese contadino della Ciociaria: Santa Eufemia credendo ingenuamente di essere al sicuro.

Durante il mese di permanenza in Ciociaria Cesira e Rosetta fanno conoscenza del giovane  antifascista e intellettuale socialista Michele (Jean Paul Belmondo) che per i  valori umani che infonde in ogni conversazione e la grande sensibilità antimilitarista di cui porta prova più volte in situazioni difficili, con coraggio, in presenza anche delle due donne, riuscirà a coinvolgere  madre e figlia in un rapporto affettivo particolare, intenso, delicato e molto profondo.
Dopo lo sbarco degli americani in Sicilia e la loro veloce dislocazione strategica nel nostro territorio nazionale per dare il colpo di grazia al fascismo, alcuni fronti dell’esercito tedesco in Italia  cominciano a disintegrarsi e Michele un giorno viene sequestrato da un gruppetto di soldati tedeschi, giunti affamati in paese, molto stressati, con i volti  tirati, incattiviti per gli eventi a loro sfavorevoli. I soldati sembrano impegnati in una disperata e solitaria ritirata; i militari  obbligano il ragazzo a far loro da guida tra le sconosciute montagne del posto per sfuggire al più presto da quella zona ormai considerata a rischio, ma  il ragazzo non tornerà più, la notizia della fucilazione arriverà in seguito, probabilmente una volta che Michele aveva indicato la via di fuga ai tedeschi è stato poi ucciso senza pietà.

Al ritorno verso Roma Cesira e Rosetta, dopo una lunga camminata con in mano le valige, si rifugiano in una chiesa abbandonata cercando un sospirato riposo, ma improvvisamente vengono sorprese da un plotone di soldati alleati marocchini che colpiti dalla bellezza delle donne e dal loro stato solitario, nonché bisognosi di appagare le proprie pulsioni sessuali a lungo trattenute dalla guerra, le violentano senza pietà, lasciandole poi traumatizzate e svenute a terra, sul disfatto pavimento della chiesa.
Al risveglio Cesira e Rosetta, ancora sotto shock, trovano la forza per proseguire con le pesanti valige sulla via principale per Roma, strada facendo incontrano una camionetta militare americana con sopra un ufficiale che costringono a fermarsi per comunicargli tutta  la loro disperazione, ma anziché scendere per prendere nota di quanto successo alle due donne e fare un rapporto al comando alleato,  l’ufficiale riparte subito proseguendo cinicamente la sua ignota corsa e  lasciando Rosetta e Cesira completamente indifese, sgomente e smarrite, fortemente deluse dell’ignobile comportamento dell’ufficiale dell’esercito alleato.

Infine le due donne riescono a farsi dare un passaggio da un camionista ambiguo e senza scrupoli di nome Florindo (Renato Salvatori) che durante il viaggio di accompagnamento anziché cercare di capire le cause dello stato scomposto e triste delle due donne mette subito gli occhi addosso a Rosetta e giunto nel suo paese la sera stessa uscirà con lei gettando nello sconforto più totale la madre Cesira che intuisce la serietà di quello che può essere successo tra i due in sua assenza.
Solo la drammatica notizia della morte di Michele darà alle due donne la forza per risalire la china, purificando le loro traumatiche esperienze dal tanto male in esse presente, e dando alle loro vite un senso nuovo capace di liberare energie per una lotta esistenziale diversa, più cosciente dei pericoli veri della vita, dei rischi e degli azzardi che si corrono vivendo senza capire veramente gli altri o conoscere come si muove il sociale meno abbiente, nel bene e nel male; e tutto ciò nelle due donne sarà sostenuto, forse un po’ paradossalmente, proprio dal dolore per la perdita del loro amato Michele.
Il film diretto da Vittorio De Sica e sceneggiato da Cesare Zavattini, uscito nel 1960, è tratto dal romanzo del 1957 di Alberto Moravia da titolo omonimo,  l’opera si presenta in uno stile ancora in gran parte neorealista ma la pellicola qua e là è macchiata di un  eccessivo divismo della Loren che pur bravissima nella recitazione della parte neorealista del film ricorda per altri aspetti, più legati allo spettacolo in sé, fastidiose forme di divismo simili a  un certo famoso cinema americano di quegli anni.

Forse un’attrice così bella e prosperosa come la Sophia Loren di allora (26 anni) provvista anche di un grande naturale talento  recitativo ha finito per oscurare tutte le altre performance interpretative presenti nel film, compresa quella del divo Jean Paul Belmondo, dando un’immagine di sé sempre troppo al centro delle scene e capace di attirare tutta l’attenzione visiva dello spettatore sulla propria figura anche quando essa non era particolarmente presa in sequenze drammatiche.
Numerosi i riconoscimenti per la protagonista Sophia Loren, Oscar e Nastro d'argento nel 1961 per migliore attrice, il David Donatello, la Palma d’ora a Cannes, il BAFTA, Golden Globe 1962, sempre per la sua recitazione.
All'inizio doveva essere un film Paramount, diretto da G. Cukor, con A. Magnani madre e S. Loren figlia.
Sembra che in un secondo tempo la Magnani abbia rifiutato di partecipare al film perché non si sentiva a suo agio con al fianco un’altra  diva del  calibro della Loren, un’attrice che era in grado di competere con lei sia per talento recitativo che per bellezza e forza caratteriale.
La ciociara non è un capolavoro, nel senso che pur essendo un buon film, rispetto ai precedenti splendori dei film neorealisti restringe troppo i tempi necessari a   comprendere un certo spaccato di realtà proposto, il film sembra imbastito, cucito con scaltrezza da una gamma di ingredienti scenici forti, tipici del dramma più mediocre di quei tempi, che vanno inevitabilmente a sovrapporsi alla stessa realtà trattata dalla pellicola rendendola poco credibile, insufficientemente  articolata.
Lo scopo probabilmente era quello di rendere la drammatizzazione più intensa, migliorandone la capacità ipnotizzante e suggestionante  sulle masse, presumibilmente al fine di toccare anche un pubblico insolito, più vasto e ingenuo, non avvezzo a questo genere di tematiche cinematografiche.

Inverosimile è la partenza da Roma per Santa Eufemia delle due donne, sole, in piena guerra, per un viaggio che presentava insidie di ogni genere, dagli attacchi aerei verso i civili alle rapine per strada, dalla milizia fascista che aveva carta bianca nel fucilare chiunque fosse sospettato di antifascismo alle aggressioni per fame di chicchessia, un viaggio che le due donne compiono lungo percorsi pericolosi perché spesso caratterizzati da case molto diradate. Inverosimile di conseguenza è anche lo stupro compiuto dai militari marocchini che non sembra avvenire per caso bensì perché nella loro cultura, due donne sole, straniere, in una zona semidistrutta, rappresentano una forte tentazione legata al fatto che manca un uomo al fianco delle donne o una persona anziana autorevole e che quindi esse in qualche modo trasgrediscono un ordine o sono mutilate di qualcosa di fondamentale che riguarda alcuni sacri valori  del vivere comunitario islamico o un più mitico e laico modus vivendi  chiuso radicato nel Marocco.
Sono questi aspetti analitici molto importanti  che fanno pensare come il film La ciociara sia stata una pellicola molto sopravalutata dal mondo culturale, esaltata da tutta un’epoca che era ancora abbagliata dal successo mondiale del neorealismo e da tutto un cinema italiano che, unico al mondo, finita la guerra, era  uscito con una serie di film dallo stile nuovo, innovativo, lasciando stupito  tutto un mondo cinematografico che ci considerava culturalmente annichiliti dalla spaventosa guerra subita e socialmente distrutti.

Questo film segna in realtà un cambio di rotta netto dal passato glorioso del cinema italiano, i produttori della pellicola hanno cercato un successo facile, creando un’opera commerciale valida ma senza correre grossi rischi, preoccupati sopratutto di  formare un cast eccezionale necessario a soddisfare in modo un po’ spicciolo una domanda di mercato che agli inizi degli  anni ’60 non era ancora di forte evasione come negli anni successivi; è vero che il grande pubblico ha risposto positivamente al neorealismo soprattutto negli anni del dopo guerra fino alla metà degli anni ’50, dimostrando un gusto generale forse irripetibile, ma forse andava ritentata, sopratutto con il grande binomio regia-sceneggiatura De Sica e Zavattini al lavoro, la carta neorealista anche agli inizi degli anni ’60 che sono stati anni ancora densi di questioni sociali e umane di estrema gravità e rilevanza mondiale.

 

Commenti  

 
-1 #1 arcimboldo 2011-02-21 21:08
non solo un film furbo,ma uno dei peggiori di de sica.La loren finalmente riesce a muoversi,ma certamente non è da oscar.Ci vuol altro.Non mi direte che è meglio della garbo o della dietrich che non l'hanno mai avuto.Già ma dietro non avevano la potenza di un ponti.I critici e intellettualini italiani di allora come di adesso che continuano nel belato laudativo di questo mediocre film e di questa altrettanto mediocre loren fanno veramente ribrezzo.
Citazione
 
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