La stanza di Marvin
Titolo originale: Marvin’s Room
USA: 1996 Regia di: Jerry Zaks Genere: Drammatico Durata: 98'
Interpreti: Meryl Streep (Lee), Diane Keaton (Bessie), Robert De Niro (Dottor Wally), Leonardo Di Caprio (Hank), Hume Cronyn (Marvin), Gwen Verdon (Zia Ruth), Hal Scardino (Charlie), Dan Hedaya (Bob), Margo Martingale (Dr. Charlotte), Kelly Ripa (Coral), Cynthia Nixon (guida ospizio)
Sito web:
Nelle sale dal: In dvd
Voto: 6,5
Trailer
Recensione di: Andrea De Luca
Bessie vive in florida dove da vent’anni accudisce il padre Marvin, costretto a letto semiparalizzato a seguito di un ictus, e zia Ruth, inaffidabile anziana che scambia il mondo di una soap opera televisiva per realtà.
Un giorno Bessie viene a saper di essere affetta da una grave forma di leucemia che soltanto un trapianto di midollo osseo può fermare; è cosi costretta a chiedere aiuto alla sorella Lee, con cui aveva interrotto i rapporti dopo che quest’ultima si era rifiutata di aiutare il padre lasciando tutta la responsabilità a Bessie.
Lee è divorziata e insegue il sogno di diplomarsi in cosmetologia, ma deve fare i conti con Hank, il figlio primogenito, che a differenza del tranquillo ed educato figlio minore Charlie, ha un animo ribelle e disturbato che lo porta a scontrarsi con la madre. Lee decide di provare ad aiutare la sorella così si trasferisce con Hank e Charlie in Florida. Nell’attesa di capire se qualcuno dei parenti possa essere un donatore compatibile, tra Hank e Bessie nasce un’amicizia, mentre Lee prova a ristabilire il rapporto con la sorella e con il figlio, dando vita a discussioni e litigi che proveranno a rimettere un po’ di ordine e serenità nella vita dei protagonisti. Se un film comprende nel cast attrici come Meryl Streep e Diane Keaton, o attori come Robert De Niro e Leonardo Di Caprio, attori talmente esperti da essere in grado di dirigersi da soli, la produzione può permettersi di rischiare un regista esordiente. Se poi il produttore è lo stesso De Niro, salta subito all’occhio la possibilità per il regista di diventare una marionetta facilmente manovrabile, cioè quello che si dev’essere sentito Jerry Zaks alle prese con quest’adattamento cinematografico della spettacolo teatrale di Scott McPherson, La stanza di Marvin. Scott McPherson, dopo aver conosciuto da bambino la sofferenza della nonna malata di cancro, ha assistito a lungo con amore il suo compagno malato di Aids ed è morto pure lui di Aids a trentatré anni, nel 1992, non senza aver prima adattato una sceneggiatura della sua opera. L’autore scrive con cognizione di causa quindi, e riversa le esperienze di una vita di sofferenze e dolore in un dramma dove è dato grande spazio all’analisi psicologica e introspettiva dei personaggi.
Il film risente della sua filiazione dal teatro, infatti potrebbe esser definito un dramma da camera, una ripresa a colori del kammerspielfilm del cinema espressionista tedesco, in cui i personaggi sono posti di fronte alle ineluttabili forze del destino. A conferma di ciò, troviamo pochissimi campi lunghi o medi, mentre la macchina da presa focalizza l’attenzione sui primi piani, sui dialoghi in campo controcampo, o sui particolari, come ci fa intendere quella panoramica delle medicine di Marvin in apertura di film.
Pochissime sono le scene che rimangono impresse, le uniche scene d’effetto sono la casa in fiamme dopo che Hank, interpretato da un Di Caprio molto bravo nella parte dell’adolescente disturbato e qui nel suo ultimo ruolo prima della consacrazione di Titanic, le ha dato fuoco o la corsa in macchina in riva all’Oceano; per il resto perfino a Disneyworld l’attenzione è concentrata solo sui personaggi.
Questo perché è sulla storia che si vuol puntare, con il suo messaggio d’amore e di solidarietà.
Una storia tanto più forte in quanto non ha la pretesa di elevarsi a melodramma o di affrontare temi in maniera enfatica e spettacolare, ma che ha il pregio di essere semplice. Nella tristezza delle situazioni, stemperate qua e là dall’ingenua follia di zia Ruth, il dramma vuole affrontare la realtà in maniera sincera, analizzando le debolezze dell’animo umano di fronte alla malattia e alla morte.
C’è chi scappa come Lee, interpretata da una nevrotica Meryl Streep, la quale con sigaretta perennemente alla bocca incarna l’imperfetta madre americana. Lee è una persona che vive egoisticamente, è incapace di affrontare la vita, ogni cosa deve ruotarle attorno e niente deve opporsi ai suoi sogni e ai suoi progetti per quanto questi possano risultare vacui; per questo non accetta ostacoli dinnanzi al suo cammino, i figli le devono obbedire, come Charlie, oppure possono anche finire in manicomio basta che le lascino vivere la sua vita. Non vuole avere responsabilità di madre con Hank come non le ha volute da figlia con il padre che avrebbe volentieri abbandonato in un ospizio.
Tra l’altro dopo il divorzio vive un rapporto conflittuale con Hank che accusa inconsciamente di essere la causa della fuga del marito. Dal canto suo Hank reagisce accusando lei esplicitamente e combinando disastri in continuazione per cercare di attirare l’attenzione di una madre troppo assente ed inadeguata al ruolo di educatrice.
Ma c’è anche chi come Bessie, la sorella interpretata da una stralunata Diane Keaton, ha preso le responsabilità di petto e si dimostra l’estremo opposto di Lee. Bessie è felice perché ha amato con tutta se stessa due persone. Dare amore può dare più felicità che essere amati? Lei predica un tipo di amore diverso, forse metafora dell’amore omosessuale dello scrittore. Non importa chi, cosa o quanto si ama ma importa aver veramente amato qualcosa nella propria vita. D’altro canto risulta difficile, purtroppo, credere che esistano molte Bessie nel mondo reale. Elevata nel film quasi al livello di una santa, il motivo per cui rinuncia ad amare un uomo può veramente essere la morte di quel fantomatico amore adolescenziale? La storia di Bessie è troppo irreale e fragile, non regge il peso di una decisione così drastica.
Abbiamo quindi due sorelle, due opposti, mentre tutto ruota attorno alla stanza di Marvin.
È da quella stanza che rappresenta la responsabilità e la rinuncia ai sogni personali che le sorelle si dividono e per colpa di quella rimangono lontane. È nella stanza che si riconciliano ritrovando tutta la famiglia, ma è lì che continuano a materializzarsi le paure di Lee. Nella stanza Hank trova la scatola di attrezzi dando il via a quel meccanismo di eventi che lo porterà ad aprirsi con zia Bessie e a crescere trasformandosi da ragazzino teppista che crea favole attorno alla propria vita, in un uomo che affronta la realtà. È sempre entrando in quella stanza che Lee capisce ciò che intendeva Bessie per felicità e l’importanza della responsabilità, dell’amore da trovare nella solidarietà familiare che aiuta, se non a sconfiggere, almeno a vivere meglio le avversità.
Il dramma è quindi circoscritto a una casa, a una stanza; tutti coloro che ne stanno fuori partecipano indirettamente e per questo hanno ruoli secondari, come quello di De Niro, che interpreta la breve parte del dottor Wally. In questo genere di film tutti i personaggi che non evolvono psicologicamente hanno soltanto ruoli di osservatori distaccati, che fanno da contorno. Anche Marvin, zia Ruth e Charlie fanno da contorno, vivono in mondi tutti loro: il nonno è regredito a neonato che non focalizza il mondo che lo circonda, la zia pensa che la soap sia realtà e che la realtà sia fantasia, il bambino legge i suoi libri obbedendo al mondo reale a patto che lo lascino vivere immerso in un mondo tutto suo.
L’attenzione si concentra quindi su Lee, Bessie ed Hank, tre adulti a cui spettano le responsabilità: Hank dimostra di sapersele assumere, guarisce dal suo malinconico vittimismo; Bessie se le è sempre assunte, anche troppo; Lee ha una seconda opportunità per provare a diventare una madre, una sorella e una figlia più responsabile.
Il finale aperto è triste, senza il falso lieto fine, ma vuole mandare un messaggio, cioè che si è sempre in tempo a cambiare, a sistemare le cose anche con il proprio passato, a fare qualche sacrificio per amore delle persone a cui si tiene tralasciando di pensare avidamente soltanto al proprio bene, perché a volte è donando amore che se ne riceve in cambio.
Amore e responsabilità, due temi due campi diversi, ma affrontati entrambi in modo esauriente ed originale in un film che non passerà alla storia ma, toccando lo spettatore da vicino, farà certo riflettere e, perché no, anche cadere qualche lacrima.
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