Le regole dell'attrazione
Titolo originale: The rules of attraction
USA: 2002 Regia di: Roger Avary Genere: Drammatico Durata: 110'
Interpreti: James Van Der Beek, Ian Somerhalder, Shannyn Sossamon, Jessica Biel, Kate Bosworth
Sito web: www.rulesofattraction.com
Nelle sale dal: 19/03/2004
Voto: 8
Trailer
Recensione di: Francesco Manca
La sacrosanta parabola sul sesso e sulle droghe adolescenziali secondo il co-sceneggiatore di “Pulp Fiction”, Roger Avary.
Tratto dall’omonimo romanzo scandalo di Bret Easton Ellis, “Le regole dell’attrazione” racconta le vicende di alcuni ragazzi del college che si intrecciano (quasi) casualmente all’interno di una realtà allucinata e ossessiva, confluendo in un labirinto narrativo senza uscita.
Più che un film, quello di Avary è un palese esercizio di stile, che raccoglie in sé tutti i virtuosismi e i voyeurismi dei “cineasta modello”, vantando di un soggetto superlativo e di una sceneggiatura altrettanto magistrale, che segue morbosamente le gesta del protagonista Sean Bateman, interpretato da James Van Der Beek, quello che i fanciulli, o meglio, le fanciulle meno emancipate, cinematograficamente e “psicologicamente” parlando, farebbero meglio a ricordare come il Dawson del celebre telefilm “Dawson’s Creek”, e dei personaggi di contorto: la timida e graziosa Lauren che durante la “Festa della fine del mondo”, evento che nel film rappresenta il fulcro della vicenda e il punto di accordo tra tutti i personaggi, rilevanti e non, perderà la verginità nel peggiore dei modi (verrà violentata); l’intraprendente e sfacciata Lara(Jessica Biel) e l’ambiguo Paul, omosessuale.
Il regista adotta un tecnica quantomeno curiosa per far sì che i personaggi appena citati vengano a contatto, ovvero, il cosiddetto “effetto rewind”; ciò significa fare esattamente ciò che facciamo noi quando ci troviamo alla visione di un film e con un comunissimo telecomando torniamo indietro di alcuni fotogrammi per un particolare che ci è sfuggito o per altri motivi. Questo è quello che fa Avary nella prima parte del film, che il sottoscritto erroneamente chiama così per in realtà sarebbe l’ultima, dato che lo script è strutturato secondo un ordine sparso e confuso ma perfettamente studiato, il che ricorda molto il già citato “Pulp Fiction” di Quentin Tarantino, grande amico del regista Roger Avary, che per altro, riceverà una menzione speciale all’interno del film da uno studente di cinematografia, che, nonostante non menzioni il titolo, presumibilmente allude all’opera prima dello stesso Avary della quale Tarantino era il produttore esecutivo.
Un altro particolare che evidenzia il percorso “a corrente alternata” del film, sono i curiosi titoli di coda che scorrono al contrario.
Grottescamente, si potrebbe definire un film che “soffre” di un disturbo ossessivo compulsivo, che invita lo spettatore a cimentarsi appieno nella storia, in compagnia di tutte le sue contraddizioni e le sue sfumature eterogenee, come fosse un viaggio, per farci altalenare indietro e avanti nel tempo, in un’esperienza surreale, pantagruelica e gargantuesca.
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