L'uomo che ama
Titolo originale: L'uomo che ama
Italia: 2008. Regia di: Maria Sole Tognazzi Genere: Drammatico Durata: 98'
Interpreti: Monica Bellucci, Pierfrancesco Favino, Kseniya Rappoport, Piera Degli Esposti, Marisa Paredes, Michele Alhaique, Fausto Maria Sciarappa
Sito web: www.luomocheama.com
Nelle sale dal: 24/10/2008 ROMA 2008
Voto: 7
Trailer
Recensione di: Ilaria Mutti
Una regista, Maria Sole Tognazzi, che si affaccia alla sua seconda prova, nel lungometraggio, con un nome importante e indimenticabile, un attore serio e preparato come Pierfrancesco Favino,con un corpo da sex simbol,due bellissime donne in carriera, Ksenia Rappoport e Monica Bellucci, sicure e affermate ma fragili entrambe nel mondo dei sentimenti, le musiche di Carmen Consoli, forse la più eclettica e colta cantautrice italiana e poi le luci, ora calde ora fredde, di Arnaldo Catinari, che sembrano dedicare il loro costante rigore e la loro nitidezza proprio alla città di Torino, in cui è ambientata la storia.Era quindi naturale che il film suscitasse un grande interesse e una forte curiosità, indubbiamente amplificati da una trama dedicata alla rappresentazione, senza veli e senza falsi pudori, di un uomo che mostra la sua terribile sofferenza per l’abbandono della donna amata .Attraverso un continuo gioco di incastri temporali, ottenuti con tre principali flash-back, verso la metà del film assistiamo alla vicenda di Roberto, un farmacista,che abbandona Alba, la donna con cui ha avuto una lunga relazione,dopo un periodo di crisi pieno di insonnie e di tristi passeggiate notturne, in una Torino fredda e immobile.
Alla disperazione di Alba fa da contrappunto il disagio,la tristezza ma anche l’assoluta determinazione di Roberto a chiudere un periodo della sua vita.Anticipa questo passato l’inizio del film, che fissa un momento successivo della storia, quello in cui Roberto viene lasciato da Sara, una giovane donna straniera di cui egli è perdutamente attratto e innamorato.
E’il turno di Roberto! Insulta,supplica,si umilia,insegue,costringe Sara a scappare da Torino e poi resta a vagare, colpito, anche fisicamente, da un’insonnia che non gli da pace.
Non l’aiuta la comprensione dell’anziana dottoressa con cui lavora, nè la solidarietà del giovane fratello gay.
Soltanto la tragedia del fratello stesso, che rischia di morire per una grave malformazione cardiaca, scuote Roberto dal suo torpore e dal ripiegamento su se stesso fino a farlo riaffacciare alla vita e alla realtà.
L’ultima scena del film, che mostra a ritroso il primo gioioso incontro di Roberto e Sara è, ormai, un ricordare sereno, libero dal dolore che aveva squassato la vita del protagonista.Bello il soggetto,ma la sceggiatura lo è meno.
La serrata storia delle vicende del protagonista a un certo punto si sgretola su troppe substorie(quella della dottoressa infelice,dei genitori stanchi e ancora innamorati, del fratello minore e del suo compagno)che ne smorzano il pathos e non sempre rispondono all’economia della narrazione.
Film comunque impregnato di cultura e di citazioni,come quella di un manierismo che ricorda Visconti nella scena dei due innamorati gay che dormono, pudichi e ignari, in un sontuoso letto violentemente rosso e nero o, in modo ancora più determinante e incisivo, nel forte ricordo di Pratolini e di Zurlini, con lo struggente legame dei due fratelli di “Cronaca familiare”.
E ancora la musica stessa:l’avvio di uno dei temi ricorrenti di Carmen Consoli è pressochè identico al tema chiave che Peppino Rotunno aveva creato per “Cronaca familiare”, ispirandosi a Petrassi e ad Albinoni.
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