Miracolo a Sant'Anna
Titolo originale: Miracle at St. Anna
USA, Italia: 2008. Regia di: Spike Lee Genere: Drammatico Durata: 144'
Interpreti: John Turturro, James Gandolfini, John Leguizamo, Matteo Sciabordi, D.B. Sweeney, Laz Alonso, Walton Goggins, Malcolm Goodwin, Omari Hardwick, Valentina Cervi, Pierfrancesco Favino, Lidia Biondi, Omero Antonutti, Chiara Francini, Sergio Albelli
Sito web: www.miracleatstanna.movies.go.com
Nelle sale dal: 03/10/2008
Voto: 8
Trailer
Recensione di: Marzia Gandolfi
Giusto o no, Spike Lee lo aveva già fatto in Fa la cosa giusta. Aveva detto di "fottersi" alla stella più splendente di Hollywood, a John Wayne, il grande eroe bianco della mitologia nazionale che cavalcava verso la Frontiera, sbarcava in Normandia e interveniva in Vietnam. Lo aveva fatto indirettamente attraverso le parole dei Public Enemy ("Fight the Power"), che urlavano dentro il ghettoblaster di Radio Raheem.
La presenza fisica e le proprietà stabilite di John Wayne sono parte integrante del nostro immaginario, è lui l'uomo e l'attore che Hollywood schiera in difesa dei valori democratici, è lui l'eroe di guerra virile e paterno del Giorno più lungo, che apre il nuovo "miracolo" di Spike Lee. La mitologia bellica (come quella western) si lega alla leggenda di Hollywood, la storia del paese è indissolubile dall'immagine riprodotta sullo schermo, il personaggio del "genere" è sormontato dal divo che lo interpreta, il quale a sua volta fornisce all'eroe che incarna peculiarità proprie. È John Wayne che andiamo a vedere nel Giorno più lungo, non il Tenente Colonnello Benjamin Vandervoort. È la fama dell'attore che si incarica di trasformare l'eroe in una figura esemplare attraverso cui la Nazione possa idealmente rispecchiarsi. John Wayne è un WASP (White Anglo-Saxon Protestant) che pratica il bene, che rispetta la legge, la bandiera e gli uomini.
Ed è ancora l'attore hollywodiano a incarnare il secondo conflitto mondiale come scontro tra buoni bianchi (gli alleati) e cattivi bianchi (i nazifascisti), coronato dal tradizionale happy end, il trionfo dei primi sui secondi.
Il senso di Miracolo a Sant'Anna è allora già tutto compreso dentro quella prima sequenza, dentro l'appartamento di un reduce nero della Seconda Guerra Mondiale, dentro la televisione che manda in onda Il giorno più lungo e John Wayne alla guida di commilitoni bianchi.
Non è naturalmente la costruzione stereotipica dei film ambientati al fronte a preoccupare il regista afroamericano, quanto il semplicismo e la "grande omissione" di quella rappresentazione.
Quella era una "guerra giusta" condotta dalla nazione compatta di Franklin D. Roosevelt, gli scopi erano chiari, non potevano esistere sfumature, la nobiltà era dalla parte degli americani. Ma ancora una volta Spike Lee ci dimostra che gli americani vivevano (e vivono) in un mondo in bianco e nero, dove le contrapposizioni erano (e sono) ancora rigide e le ideologie dure a morire. La riflessione sull'identità afroamericana è un processo incessante che passa anche attraverso lo schermo cinematografico. Lee quella cultura l'ha assorbita restituendocela sempre in forma di film. Miracolo a Sant'Anna procede nella direzione delle opere precedenti, verso la (ri)conquista dell'immagine della storia afroamericana e della sua integrazione nell'immaginario della cultura americana. Come nel primo conflitto mondiale, anche nel secondo i black soldier combatterono in unità discriminate, dimostrando il persistente paradosso del doppio regime della cultura a stelle e strisce nella valutazione della libertà e dei diritti in nome dei quali era scesa in guerra e aveva accettato di lottare lontano da casa. Ancora una volta la protagonista del cinema di Lee è la cultura americana multietnica, contraddittoria e divisa, che non si lascia dirimere facilmente. Approdato in Italia, Spike Lee compie un "miracolo" che si riverbera in ambiti extra-cinematografici, costringendo gli interlocutori che fecero quella Storia e sprofondarono, o lambirono soltanto, il massacro di civili di Sant'Anna a fare i conti con se stessi e a dire la verità sulle proprie inconfessabili colpe.
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