Nessuna qualità agli eroi
Titolo originale: Nessuna qualità agli eroi
Italia, Svizzera, Francia: 2007. Regia di: Paolo Franchi Genere: Drammatico Durata: 102'
Interpreti: Elio Germano, Irène Jacob, Bruno Todeschini, Paolo Graziosi, Maria de Medeiros, Alexandra Stewart, Rinaldo Rocco, Mimosa Campironi
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Nelle sale dal: 28/03/2008
Voto: 7,5
Recensione di: Tommaso Ranchino
Bruno è un uomo francese che vive a Torino: sulla quarantina, depresso, insoddisfatto, indebitato e, senza che la moglie lo sappia ancora, sterile. Luca è figlio di un direttore di banca che usa il suo impiego di facciata per fare strozzinaggio ai clienti morosi. Le vite dei due si incrociano a causa dei debiti di Bruno, anche se lui ancora non lo sa, e si scrutano parallele accomunate dall’insofferenza che entrambe hanno per due padri troppo soffocanti, ognuno a modo suo. Il padre di Bruno è infatti un pittore di successo, e lui non ha mai accettato la preminenza del suo ruolo, neanche dopo la dipartita dello stesso.
Quando poi il padre usuraio scomparirà, le vicende porteranno i due protagonisti ad incontrarsi più volte, attraendosi e respingendosi, arrivando alla risoluzione del mistero in un finale non di certo lieto.
Il film di Franchi si discosta dal trend nostrano, andando a sgraffignare, nel quid della propria natura, qualcosa ai crismi del cinema europeo d’autore: il nichilismo di fondo dell’opera totalizza anche la resa formale della stessa. Ogni inquadratura ha un forte peso specifico, la dilatazione continua delle dimensioni spaziotemporali patetizza le sensazioni dei protagonisti, creando una dimensione parallela alla realtà. L’uso di tale tecnica fa rimbombare in modo esponenziale il vuoto dell’animo umano che sembra annullare le vite dei protagonisti.
Introspettivo ai limiti dell’analisi psicologica, non a caso il regista ha una cartella clinica che lo definisce nevrotico compulsivo, l’opera bilancia la preminenza delle due figure maschili con due figure femminili, che, nonostante le personalità siano inizialmente volutamente offuscate dal plot, si riveleranno un mix di passione carnale allo stato più brado del termine per i propri uomini e di razionalità materna.
Anche l’assennato uso della lingua francese, in contrapposizione con l’italiano, amplifica la sensazione di solitudine di Bruno; che nutre la sua depressione vivendo due vite, una rapportandosi in modo mendace con la sua sfera privata e l’altra barcamenandosi in un mondo esterno che non lo considera degno di farne parte, nella quale incontrerà Luca.
Franchi affronta l’interiorità di due uomini di generazioni adiacenti, mettendoli anche, e soprattutto, a confronto con l’insostenibile rapporto con i loro padri e con la paternità più in generale nel caso di Bruno, che si rivelerà poi non essere altro che una ricerca della propria emancipazione da ogni tipo di autorità che la famiglia e la società impongono.
Il regista forse avrebbe potuto dare più spazio alla sfera onirica delle vicende, che viene affrontata esclusivamente in due brevi scene, dando la sensazione di un accenno poco giustificato che avrebbe avuto bisogno di una maggiore analisi oppure di una totale indifferenza.
L’uso del sonoro è assolutamente azzeccato e funzionale all’omogeneità del corpus della pellicola, rumori estremamente sordi o insostenibilmente acuti vengono sempre seguiti da silenziosi stacchi a seconda dell’umore, depresso o schizofrenico, dei protagonisti.
Il cast internazionale fa un buon lavoro, nessuno sembra mai inadatto e la direzione di Franchi sembrerebbe essere stata univoca. Todeschini recita più con la mimica facciale che con la voce, in un insieme che vive di una sceneggiatura scarna, conferendo grande intensità al personaggio; Elio Germano poi, il Golden Boy impegnato, davvero in tutti i sensi, del cinema italiano, da contrapporre ai vari mocciani, mucciniani o scamarci, al cinema anche con Il mattino ha l’oro in bocca e Tutta la vita davanti, offre un’ulteriore conferma del suo riconosciuto talento, veste i panni enigmatici di Luca, esagerando col suo recitato sopra le righe quando serve e rallentando quando la storia lo richiede.
Nonostante gli indubbi pregi e l’elevata qualità della pellicola, la sceneggiatura pecca forse di banalità, lo snodarsi del canovaccio sembra evidente già dai primi passi del film; forse una storia meno prevedibile avrebbe giovato alla manifesta ermeticità formale del film.
Sicuramente film del genere fanno bene alla cinematografia nazionale e possono aprire l’orizzonte del cinema italiano verso lidi balneati, ad oggi, dal solo Bellocchio.
Incontro col cast e il regista di Nessuna qualità agli eroi (Paolo Franchi, Bruno Todeschini, Elio Germano, Irene Jacob, Mimosa Campironi)
La pellicola di Paolo Franchi affronta l’interiorità umana prendendosi una briga che pochi si sobbarcano nel nostro cinema: “E’ difficile fare un film così sia in Italia che all’estero. La scena della masturbazione che è stata tanto criticata non è altro che un gesto anarchico nei confronti dell’autorità dell’arte”. Proprio le opere d’arte del padre di Bruno nel film hanno un ruolo collaterale ma dal forte simbolismo, non a caso il titolo Nessuna qualità agli eroi è lo stesso di uno dei quadri che si vedono. Franchi non nasconde una passione per l’arte moderna, alla quale a modo suo si ispira nei suoi film: “Quando abbiamo girato il film per rappresentare l’arte del padre di Bruno avevamo in mente come riferimento l’informale materico, quindi Burri e Vedova. Anche nel cinema secondo me l’immagine che ha più potere è quella che non è immediatamente intuibile, ma si sovrappone all’invisibile, al fuori campo. Un’immagine che dia vita all’interpretazione”.
Proprio il rapporto tra critica e arte può essere accomunato a quello tra cineasta e critico cinematografico, e il regista bergamasco ha una sua forte opinione a riguardo: “Secondo me in Italia non c’è più una critica. Sui quotidiani di 15 anni fa si trovavano delle vere recensioni e la critica faceva analisi complete dei film. Oggi si trovano delle recensioni nelle quale si descrive la trama e poi si dice se il film sia bello o brutto, senza fare nessun tipo di analisi della pellicola, spesso anche perché non se ne hanno i mezzi. Si leggono tante cose invece su tutto quello che accade intorno ai film e ai festival”.
Elio Germano è senza dubbio l’attore del momento, anche questa volta interpreta un ragazzo dalla personalità border line, personaggio che evidentemente gli è molto gradito e di cui parla così: “E’ certamente più interessante dal punto di vista professionale un personaggio del genere. Luca si confronta con sé stesso, col proprio genitore e con la propria interiorità. Vi si possono ritrovare molti riferimenti alla letteratura: dall’Edipo Re a Dostoevskij. E’ difficile trovare ruoli così nel cinema, sono parti che si possono fare di più in teatro. Per un attore è una benedizione un personaggio così”.
Anche a Bruno Todeschini, l’altro protagonista, bisogna dare atto di aver dato al proprio personaggio una grande intensità, paragonabile in parte anche le interpretazioni della Nouvelle Vague, lui la pensa così: “Credo un attore debba entrare nel mondo del regista per cui lavora in quel film. Sinceramente il riferimento alla corrente della Nouvelle Vague mi viene istintivo, fa parte della mia natura recitativa. Franchi è un cineasta e a me interessava entrare pienamente nel suo universo”.
La figura del personaggio di Irene Jacob, dopo un inizio stentato, prende corpo pian piano che la storia progredisce, lei la pensa così: “La sceneggiatura che mi presentò Paolo mi sembrava molto complessa, ci ho trovato dei riferimenti letterari che vanno da Dostoevskij a Kafka. Io nell’interpretarlo avevo paura di cadere nella banalità del solito ruolo della moglie depressa, invece il personaggio ha trovato una certa profondità, siamo stati coraggiosi ad esplorare questo personaggio”.
Per Mimosa Campironi è stato il primo vero ruolo importante sul grande schermo: “Innanzitutto mi sento in dovere di ringraziare Paolo, per me è un onore parlare qui. Il merito è stato tutto loro, quando sono arrivata sul set c’era un clima surreale, sembrava di stare in un altro mondo”.
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