Sangue - La morte non esiste
Titolo originale: Sangue - La morte non esiste
Italia: 2005 Regia di: Libero De Rienzo Genere: Drammatico Durata: 104'
Interpreti: Elio Germano, Emanuela Barilozzi, Luca Lionello, Libero De Rienzo
Sito web:
Nelle sale dal: 05/05/2006
Voto: 6
Recensione di: Ginevra Foderà
Difficilmente Sangue, opera prima di Libero De Rienzo, un progetto ambizioso, più che un semplice film, può essere definito o, peggio, inserito entro certe etichette di genere, ma è, senza dubbio, un film drammatico.
E se ne analizziamo il sottotitolo, La morte non esiste, dopo averlo visto, ne scoviamo il senso nascosto: Sangue è un film sulla paura. Della morte, innanzi tutto, e delle passioni, in secondo luogo, e dell’ordine preconfezionato e universalmente riconosciuto, infine: dei manganelli delle forze armate, e del giudizio divino.
Non possiede tempo, né luogo, una storia così, è forte e a tratti presuntuosa, nei contenuti e nel linguaggio, spesso fuori dal comune, e si avvale di arti figurative, luce notturna, soluzioni tecnico-stilistiche elaborate, balletti, e della tematica della droga, che, sembra, rappresenti solo un pretesto per parlare d’altro.
E’ suddiviso in tre parti, come i protagonisti (Stella, Iuri, e la paura): primo atto, “la scelta di Stella”, ci racconta la storia di due fratelli legati a doppio nodo da un amore viscerale e incestuoso, ci accorgiamo subito, attraverso una visione estrema, di quanto Sangue sia un film sporco, in cui il regista non ha nessuna paura di sporcarsi le mani, realizzando immagini quasi grottesche o, piuttosto, stranianti. Il secondo, “la paura di Iuri”, ci parla del personaggio interpretato da un Elio Germano che definire superbo è dire poco. E, immediatamente, la dialettica Scelta/Paura si palesa ai nostri occhi.
Mentre il biglietto per la libertà (ovvero per gli Stati Uniti) sta nella tasca dei jeans di Stella per tutto il film, Iuri è ancora schiavo dei suoi “dilemmi ontologici”, mentre alleva zanzare, che ama, forse perché tutti le odiano (come afferma la sorella), mentre cerca risposte a un amore troppo grande e troppo radicato nel suo modo di essere, mentre si interroga sulla vita e sulla morte.
Infine, l’ “epilogo comico”, che di comico ha ben poco, possiede una delle scene più criticate e allo stesso tempo più teatrali e (ci sembra) riuscita meglio: un sermone in chiesa di un improvvisato prete (Iuri), che gli permette di dare sfogo alle riflessioni tormentate di cui si è costituito il film, fino ad adesso.
Qualche frase che fa riflettere, come la già nota “la bellezza è negli occhi di chi guarda”, o “la verità è una cosa da ubriachi”, un progetto ben riuscito, ma distribuito malissimo.
Per una libertà con la L maiuscola, dalla paura, e di qualunque natura.
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