Sul lago Tahoe
Titolo originale: Lake Tahoe
Messico: 2008. Regia di: Fernando Eimbcke Genere: Drammatico Durata: 85'
Interpreti: Diego Cataño, Héctor Herrera, Daniela Valentine, Juan Carlos Lara, Yemil Sefani
Sito web:
Nelle sale dal: Prossimamente
Voto: 7
Trailer
Recensione di: Denis Zordan
Il giovane Juan va a sbattere con la macchina contro un palo.
La vettura non riparte, qualcosa si è rotto. Il ragazzo si mette allora alla ricerca nei dintorni di qualcuno che lo aiuti a riparare il guasto. Sarà l’inizio di una serie di incontri: da un meccanico un po’ suonato e il suo cane ad un adolescente appassionato di meccanica, ma ancora di più di kung fu e cultura orientale, a una ragazza madre a cui Juan sembra ispirare simpatia e tenerezza. Sullo sfondo, un evento doloroso per Juan e la sua famiglia.
Lake Tahoe è il secondo film del messicano Fernando Eimbcke dopo l’applaudito Temporada de Patos (che non ho visto). Un piccolo grande film che tocca le corde del cuore con momenti buffi e riflessioni tristi, costruito intorno ad alcuni incontri polari del sedicenne protagonista con personaggi più o meno insoliti.
Tutto senza esagerazioni, lasciando che siano i piccoli accadimenti a parlare e a definire, dietro la sostanziale inafferrabilità delle relazioni umane, la difficoltà di accettare il dolore e la morte. Aspettiamo un bel po’ prima di capire che cosa rode Juan: è infatti soltanto da uno sfogo al telefono che scopriamo che il ragazzo è disperato per la perdita del padre.
Mentre il fratellino Joaquin, viceversa, si è inventato un viaggio nella località di Lake Tahoe, in realtà mai compiuto, per riuscire meglio ad accettare il lutto.
Il film è girato praticamente tutto con inquadrature a camera fissa, con pochi dialoghi, passaggi divertenti (i siparietti con il cane, la divertente ossessione del giovane appassionato di kung fu per Bruce Lee e affini) e attimi di sbandamento (quando Juan prende improvvisamente a randellare con un bastone la propria auto si ha un altro momento imprevedibile e significativo della sua condizione di infelicità).
In conferenza stampa il regista ha dichiarato di avere introdotto solamente in un secondo momento, su suggerimento della cosceneggiatrice Paula Markovitch, il tema della morte; e in effetti c’è un po’ la sensazione di uno scollamento tra la struttura vagamente fumettistica (alla maniera, per intenderci, delle strisce di Charlie Brown, che Eimbcke dichiara di avere tra i propri punti di riferimento, insieme a Jarmusch e Tati) e il senso di disagio di fondo che infine si fa largo e riempie la scena.
Nonostante ciò, Lake Tahoe, ambientato a Puerto Progreso, una cittadina dello Yucatan con costruzioni suburbane affiancate a realtà povere e fatiscenti, racconta intensamente il senso di perdita e mostra con bel piglio l’imprevedibilità della vita e dei sentimenti.
Sono parecchie le situazioni che rimangono nella memoria: Juan e il meccanico che vanno alla ricerca del cane fuggito, ma finiscono per lasciarlo presso una famiglia del vicinato, festeggiato dai bambini; la ragazza madre che vorrebbe usare Juan come baby sitter, ma una volta visti sfumare i suoi piani per la serata decide di rimanere in intimità con il giovane; e persino il ragazzo con la mania del kung fu che si affeziona a Juan con un fare però piuttosto curioso e in qualche modo ambivalente.
Più ancora del tema scelto, sono probabilmente questi gli elementi che mettono maggiormente in evidenza il notevole talento di narratore del regista, e che lasciano ben sperare per il futuro, confermando al contempo la sorprendente vitalità del cinema messicano degli ultimi anni.
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