Una storia vera
Titolo originale: The straight story
USA, Francia: 1999 Regia di: David Lynch Genere: Drammatico Durata: 101'
Interpreti: Sissy Spacek, Harry Dean Stanton, Richard Farnsworth, Everett McGill, Jane Galloway
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Nelle sale dal: 11/02/2000
Voto: 10
Recensione di: Francesco Manca
Dopo essere stato informato che il fratello Lyle ha avuto un infarto, il 73enne Alvin Straight parte per il Wisconsin con il suo taglia erba. Durante questo lungo viaggio, Alvin avrà modo di incontrare nuove persone che gli faranno riaffiorare in mente vecchi ricordi, piacevoli e meno.
David Lynch compie un passo molto significativo per la sua carriera, costellata di incubi, allucinazioni visive e psicologiche e ossessioni.
“The Straight Story” rappresenta per il regista una sorta di traguardo, di liberazione, di pace interiore che è riuscito momentaneamente a trovare, per poi nuovamente “scatenarsi” due anni più tardi con il viaggio metafisico di “Mulholland Dr.”.
Fatto sta che quello a cui ci troviamo di fronte, è un ritratto di una cultura, di un paese, di una persona e di un entità dal valore inestimabile, ove si possono Non facilmente scorgere delle vene di tristezza e solitudine interiore, provocate da enormi ferite, sia fisiche che spirituali, di cui ci narrerà il protagonista Alvin Straight nel corso della pellicola.
L’anomalia di questa opera estremamente ed insolitamente omogenea di David Lynch, è quella di non apparire neanche come un lavoro del regista, perché priva di tutte le caratteristiche che hanno contraddistinto titoli come “Eraserhead”, “The Elephant Man”, “Velluto Blu” e “Strade perdute”, difatti, “The Straight Story” è privo di qualsiasi allusione a tonalità cupe e dark che hanno sempre delineato la filmografia di Lynch.
Però, c’è da fare molta attenzione ad un particolare: i demoni, i fantasmi, i conflitti interiori che ci ha sempre raccontato Lynch attraverso la sua “macabra” e vivida creatività, sono presenti anche in “The Straight Story”, solo che, a differenza di come accadeva nei titoli sopra citati, qui sono quasi invisibili.
Alvin Straight, interpretato da un magistrale Richard Fansworth, conserva in sé i terribili ricordi del suo passato come soldato nella seconda Guerra Mondiale, della quale discuterà con un altro personaggio secondario incontrato durante il suo percorso; la figlia di Alvin, Rosie, la fantastica Sissy Spacek, balbuziente e “leggermente ritardata”, evoca sentimenti estremamente dolci e sottili, così come la storia stessa della pellicola, che racconta come Straight sia riuscito, lottando contro la fatica, a raggiungere il fratello Lyle (Harry Dean Stanton) improvvisamente colpito da un infarto, con il quale non si vede da dieci anni; il tagliaerba sul quale viaggia Alvin è un altro elemento che identifica la forza morale e la determinazione di questo grande uomo, che ha vissuto un’intera vita, solo per accorgersi che ne dovrà immediatamente iniziare un’altra, e forse, il messaggio che il finale del “film” di Lynch (metto le virgolette attorno alla parola film perché non considero le Opere di Lynch come veri e propri film, ma qualcosa di più complesso) ci vuole comunicare, perché probabilmente la pace di cui ho accennato in precedenza, sta proprio nella riconciliazione tra due fratelli, perché, come dice lo stesso Alvin, nessuno ti conosce meglio di un fratello…
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