ACAB - All Cops Are Bastards
Titolo originale: ACAB - All Cops Are Bastards
Italia: 2011. Regia di: Stefano Sollima Genere: Drammatico Durata: 112'
Interpreti: Pierfrancesco Favino, Filippo Nigro, Marco Giallini, Andrea Sartoretti, Roberta Spagnuolo, Domenico Diele
Sito web ufficiale: www.acabilfilm.it
Sito web italiano:
Nelle sale dal: 27/01/2012
Voto: 7
Trailer
Recensione di: Daria Castelfranchi
L'aggettivo ideale: Disincantato
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Sulla scia di Black Block e Diaz, dal 27 Gennaio nelle sale italiane arriva ACAB, acronimo per All cops are bastards: motto degli anni ’70 che rivive nell’Italia dell’ultimo decennio e nei celerini, quei poliziotti così odiati, protagonisti del G8 di Genova, degli scontri allo stadio e di tanti fatti di cronaca nera.
Di certo quel che emerge dall’opera prima di Stefano Sollima non è un bel ritratto della polizia, o meglio del reparto mobile delle forze dell’ordine: persone istigate dall’odio, che compiono violenze spesso gratuite e inaudite ai danni non certo di santi ma neanche di bestie da macello. Ma questo era proprio l’intento del regista e dello sceneggiatore: mettere in scena l’odio che attanaglia la nostra società.
Un odio dovuto spesso alla solitudine e a una vita senza sbocchi.
I protagonisti sono fondamentalmente dei perdenti: Cobra è un uomo solo e solitario, che ha fatto dello stato e della sua difesa il suo ideale. Negro è separato ed ha una figlia, Carolina: in seguito alle percosse alla ex moglie cubana, gli viene vietato di incontrarla e questo accresce la sua già comprovata instabilità.
Mazinga ha un figlio adolescente che si è unito ad un gruppo di neofascisti. Carletto ha abbandonato la squadra e fa il guardiano in una scuola privata di élite. Per finire c’è Adriano, giunto al reparto mobile perché è quello che paga meglio: la madre sta per essere sfrattata e la casa popolare che il comune le ha assegnato è stata occupata abusivamente da una famiglia tunisina.
Altro motivo di rancore, altro fattore che scatena il razzismo insito in ognuna di queste persone che vede l’Italia come la propria casa invasa dagli stranieri. Che siano albanesi, rumeni o tunisini, non hanno diritto di stare nel nostro paese, togliendo la casa e il lavoro a chi ne ha bisogno, andando in giro a sporcare, stuprare, uccidere.
E fin qui, come ha detto l’autore del libro da cui è tratto il film, chiunque, nel profondo del suo io, potrebbe pensare che questi celerini, tutti i torti non li hanno. “Rischio morale? Sì, ma bisogna liberarsi di questo ricatto, altrimenti non si racconta più niente”.
Un film che, almeno finora, non ha sollevato proteste né critiche ma che è stato mantenuto a distanza dalle forze dell’ordine. Molto intenso e molto realistico, ACAB accenna, tenendole sullo sfondo, ad alcune pagine infamanti della storia italiana dell’ultimo decennio tra cui il G8 di Genova, la morte dell’ispettore Raciti, l’assassinio di Giovanna Reggiani, l’omicidio di Gabriele Sandri.
Il ritratto della società odierna è vivido e attuale: la regia di Sollima è coinvolgente e il montaggio sincopato trasporta lo spettatore all’interno delle vicende. I brani rock dei Clash, dei Chemical Brothers e dei White Stripes sottolineano la violenza e l’urgenza di alcune sequenze.
Tratto dall’omonima opera di Carlo Bonini, il film è uno spaccato dell’Italia dal punto di vista dei celerini.
ACAB offre infatti una prospettiva diversa: non di chi subisce le violenze ma di chi le fa.
E offre una visione nuova di questa gente che riceve sputi, insulti, contro cui vengono tirati oggetti. Come ha detto Favino: “l’esperienza di stare dietro a uno scudo provoca un’aggressività naturale nell’uomo. Ora capisco meglio come si sta da quella parte”.
Non bene, in effetti.
L’intento di criminalizzare non c’era, c’era solo quello di raccontare dei fatti realmente accaduti.
Il risultato è buono ma non lascia ben sperare sulle condizioni del nostro paese.
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