Titolo: Aspettando il mare
Titolo originale: V ozidanii morja
Belgio, Francia, Germania, Kazakistan, Russia: 2012. Regia di: Bakhtiar Khudoijnazarov Genere: Drammatico Durata: 109'
Interpreti: Egor Beroev, Anastasia Mikulchina, Detlev Buck, Dinmukhamet Akhimov
Sito web ufficiale:
Sito web italiano:
Nelle sale dal: Festival di Roma 2012
Voto: 6
Trailer
Recensione di: Alessia Vegro
L'aggettivo ideale: Asciutto
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Il regista tagiko Bakhtiar Khudoijnazarov, già autore di film come Barat (Fratello, 1991), Luna Papa (1999) e Tanker 'Tango' (2005), ha tratto l'ispirazione per la sua ultima opera da una delle più grandi catastrofi ambientali del XX secolo: l'evaporazione del lago d'Aral.
'Aspettando il mare' si apre presentando uno spaccato di vita quotidiana di un piccolo villaggio di pescatori, i loro riti propiziatori per la pesca ed il senso d'attesa per un tragico futuro.
Nonostante infausti presagi, il marinaio Marat sceglie di prendere il largo per la sua battuta quotidiana, portando con sé, oltre all'equipaggio, l'amata moglie Dari.
L'imbarcazione s'imbatte però in una tempesta di sabbia, che cambierà la vita di tutti.
L'unico superstite è Marat, che solo dopo alcuni anni fa ritorno al villaggio. Ma la vita non è più quella che conosceva. L'acqua è sparita, l'attesa di aerei in transito si è sostituita a quella delle navi e i suoi concittadini covano per lui rancore e sospetto. Marat sceglie la vita, piuttosto che l'attesa passiva in un deserto sabbioso.
Al suo fianco solo l'amico fedele Balthasar e Tamara, la sorella della defunta moglie da sempre innamorata da lui.
Ripreso possesso del relitto della sua barca, giorno per giorno Marat la traina verso l'acqua, alla ricerca di una nuova ragione di vita.
Basandosi sulla sceneggiatura di Sergey Ashkenazy, Khudoijnazarov propone la sua visione del genere western, mostrando una natura selvaggia e sterminata, in una corsa verso l'Eden, rappresentato dal mare. Il suo tratto è asciutto ed essenziale come il panorama anche emotivo in cui si muovono i personaggi.
Sembra voglia piuttosto sottolineare la potenza della natura, mostrando come essa giochi con la vita dell'uomo lasciandogli possibilità di scelta.
Là dove prima ci si muoveva per mare ora cavalli e cammelli corrono liberi, mentre gli abitanti del villaggio rimangono staticamente attaccati al loro passato ed alla perdita subita. Marat non accetta tutto questo, non concepisce che la sua nave venga considerato il cimitero dei dispersi nel naufragio.
La sensazione di morte ben si sposa al palcoscenico dai toni del beige, dove la barca è l'unica macchia di colore che ricorda l'azzurro del mare. Lo è anche Tamara, che soffia via la polvere accumulatasi nel tempo sopra ogni oggetto.
Ma colore è anche movimento e infatti solo Marat e la ragazza, come la tartaruga che ha trovato rifugio nel relitto e come la colomba che vola attorno ad esso, avanzano nelle loro vite.
Lentamente, un passo alla volta, cercando d'instillare nuova fiducia in un paese ormai morto assieme al suo porto. Ma questo moto è lento, richiede pazienza anche allo spettatore, che ogni tanto viene richiamato all'attenzione con l'uso di musiche tipiche di quella regione.
Benché il film sia fluido, le immagini della natura sterminata tolgano il fiato e facciano sognare orizzonti di tranquillità, sono i contrasti tra gli uomini a sostenere il ritmo.
Il motto latino “homo hominis lupus” sembra impregnare l'opera. Concittadini avversi e rassegnati portano alla luce la violenta paura dell'uomo. Mentre chi cerca un futuro migliore si avvale della forza e delle armi per cercare di accorciare i tempi. Non ci sono sfumature, o si è con il marinaio o si è contro di lui.
A tutto questo sopravvive l'amore e il desiderio di un futuro per Marat, un bisogno da colmare che gli dà la forza per proseguire. E' come se si trovasse nella stessa situazione del Giovanni Drogo di Buzzati, solo che sceglie di andare incontro ai Tartari invece di attenderli, ma il deserto, si sa, ha i suoi tempi, e Khudoijnazarov ce lo ricorda.
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