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Scritto da Roberto Fedeli   
domenica 06 novembre 2011

Faust
Titolo originale: Faust
Russia: 2011. Regia di: Aleksandr Sokurov Genere: Drammatico Durata: 134'
Interpreti: Hanna Schygulla, Maxim Mehmet, Isolda Dychauk, Georg Friedrich, Joel Kirby, Antoine Monot Jr., Eva-Maria Kurz, Katrin Filzen, Florian Brückner
Sito web ufficiale:
Sito web italiano:
Nelle sale dal: 28/10/2011
Voto: 8
Trailer
Recensione di: Roberto Fedeli
L'aggettivo ideale: Maturo
Scarica il Pressbook del film
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faust_leggero.pngDa Marlowe a Mann, da Goethe a Bulgakov, da Murnau a Burton, il mitico topos del patto infernale che il dottor Faust stipula con Mefistofele seduce l’animo ed ispira l’estro anche del regista russo Aleksandr Nikolaevič Sokurov. Il grande cineasta dipinge un quadro dalle tinte oniriche preferendo il fascino logorante dell’attesa allo sviluppo sinottico della storia.
Tutto inizia in alto, nell’immagine di quelle inarrivabili altezze alle quali il dottor Faust anela senza tregua per tutta la sua beffarda esistenza. Si parte dall’assoluto, dall’ineffabile cielo che ci indica, fin da principio, che ci stiamo accingendo a vivere un destino umano veicolato da un potere che lo trascende e che lo domina. Sarà Dio o sarà Satana?
La macchina da presa scende lentamente fino a farci scorgere un villaggio fuori dal tempo, per poi soffermarsi sul membro esangue di un feretro, studiato proprio dal protagonista di questa infame storia.

È proprio lo scienziato più famoso dell’800 che si sta prodigando nel cercare all’interno del corpo materiale della sua cavia un qualcosa che lo ecceda, quell’anima che si erge a concetto vuoto privo di qualsiasi contenuto significante. Faust cerca nei suoi studi quello che il Balthazar Claës di Balzac cercava nella chimica: l’assoluto, la sostanza comune a tutte le cose. È proprio questo desiderio utopico che muove il nostro antieroe per le strade sudice della sua città, attraverso uomini vili, ubriaconi e puttane. Sokurov indugia senza pietà sulla lacerazione interiore che costituisce l’esistenza stessa del suo protagonista, incapace di sapere con sicurezza e di ignorare in senso assoluto. Egli incontra molto presto il suo amico\nemico letterario, l’immenso Mefistofele, ma il suggello sul loro patto verrà posto solo verso la fine del film, quando l’infelice scienziato sarà già divorato dai suoi fantasmi e vinto dalla sua stessa sorte. Al regista russo interessa l’attesa spasmodica dell’acme del dramma; egli preferisce focalizzare l’attenzione sul rapporto tormentato che lega l’uomo e il diavolo.

L’essere finito, spinto da una forza in sé che non sa controllare, finirà per uccidere un uomo, abbandonare il suo adepto, desiderare le carni di una vergine. Sarà proprio questa voluttà, questo suo anelare al proibito a farne il mostro che la storia del sapere conosce alla perfezione. Egli alza le vesti della “sua” Margherita mentre essa si bagna, le sfiora la mano mentre è intenta a celebrare il funerale del fratello ucciso da lui stesso e finirà persino per respirare sul suo corpo nudo ed ignaro dei suoi immorali progetti.

Sokurov è abile nel distribuire lungo il corso del suo racconto una rilevante quantità di metafore e allegorie anticipatrici o esplicative del mito narrato; il diavolo si presenta come usuraio che pesa le merci come le anime, lo scienziato ha il primo contatto con Margherita durante la celebrazione della fine di un uomo, l’usuraio fa firmare a Faust una ricevuta proprio al principio della storia. Questo cammino metaforico della sinossi si compenetra con l’attenta cura dell’immagine filmica.
Il grande regista russo studia alla perfezione ogni singolo quadro, facendo apparire la figura di Faust in perenne posizione di sudditanza visiva rispetto a quella incombente del diavolo. Inoltre viene usato molto l’obiettivo grandangolare su inquadrature molto ravvicinate, al fine di distorcere oniricamente la percezione visiva dello spettatore, così da conferire un maggiore effetto disturbante all’intera fruizione passiva dell’opera.

Con questa sua ultima opera, Sokurov conclude la sua famosa tetralogia sul potere che consta già di tre ottime pellicole come Toro(1999), Moloch(2000) e Il sole (2005).
Mi permetto di asserire che questa sua versione del Faust di Goethe appare ancora più intensa delle precedenti opere del regista, presentandosi come il film della maturità di un autore riconosciuto a livello mondiale.
Non a caso questa sua ultima fatica ha trionfato sia al Festival del cinema di Venezia che al leggendario Festival di Cannes.

 
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