Titolo: Hunger
Titolo originale: Hunger
Regno Unito, Irlanda: 2008. Regia di: Steve McQueen Genere: Drammatico Durata: 98'
Interpreti: Stuart Graham, Helena Bereen, Larry Cowan, Liam Cunningham, Michael Fassbender, Liam McMahon, Rory Mullen
Sito web ufficiale:
Sito web italiano:
Nelle sale dal: 27/04/2012
Voto: 8,5
Trailer
Recensione di: Francesca Caruso
L'aggettivo ideale: Mirabile
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Arriva anche nelle sale italiane il lungometraggio d’esordio del regista e sceneggiatore Steven Rodney "Steve" McQueen.
“Hunger” mostra uno spaccato della vita carceraria nel penitenziario di Long Kesh, nel periodo in cui i prigionieri dell’Ira portano avanti la protesta delle coperte e dello sporco, conclusosi con lo sciopero della fame, iniziato dal loro leader Bobby Sands.
L’uomo sarà il primo di dieci detenuti a perdere la vita per quello in cui credono.
È l’Irlanda del Nord del 1981, ma questo avvenimento coinvolge tutta la Gran Bretagna e la sua eco si diffonde nel mondo intero.
Prima di essere regista e scrittore McQueen è un artista, i suoi lavori sono stati proiettati in gallerie d’arte, partecipandovi anche in prima persona.
“Hunger” ha avuto riconoscimenti al Festival di Cannes 2008, alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2008, al Toronto Internazionale Film Festival 2008 e al BAFTA 2009 e tutti meritatissimi.
Steve McQueen è rimasto colpito da Bobby Sands e dai fatti ad esso correlati fin da adolescente. L’adulto Steve voleva saperne di più, così ha iniziato a documentarsi, a cercare materiale, soprattutto dal momento in cui “la storia si ripete, molta gente ha la memoria corta e noi abbiamo bisogno di ricordare che questo genere di cose sono accadute in Gran Bretagna” (non solo nella prigione di Guantanamo o di Abu Graib) – ha dichiarato.
Quello costruito dal regista è un film in cui bellezza e violenza si mescolano, dove le parole lasciano spazio agli individui con le loro azioni e agli ambienti in cui sono reclusi. In effetti originariamente McQueen aveva pensato di rendere “Hunger” privo di dialogo, dando vita ad un’esperienza sensoriale di ciò che si respirava in quegli ambienti.
Poi ha optato per qualcosa di differente: una prima parte in cui il dialogo è inesistente e una seconda in cui c’è un confronto tra Bobby Sands e Padre Dominic Moran, in un botta e risposta con un’arma affilata quale può essere la parola.
Quello raffigurato è un piano sequenza di 22 minuti che riesce a tenere inchiodato alla sedia lo spettatore (come del resto tutto il film), coinvolto nel loro duello verbale.
McQueen non dà giudizi, non dà né torto né ragione a Sands e ai suoi compagni, vuole mostrare cosa significhi morire per una causa, fino a che punto si può spingere un individuo per portare avanti le idee in cui crede. L’intento è stato quello di far vivere un’esperienza unica, forte e cruda mostrando l’esistenza di tutti gli individui: sia dei detenuti che delle guardie carcerarie. Gli eventi sono narrati dal punto di vista di entrambi.
Quando “Hunger” inizia non sappiamo cosa faccia il personaggio che ci troviamo davanti, quale ruolo ricopra esattamente. Quella davanti alla quale ci pone il regista sembra essere una storia diversa da quella che poi ci racconterà da lì a pochi minuti. Un po’ come faceva Hitchcock nei suoi film, McQueen ci porta subito su una strada, per poi farci accorgere che è tutt’altra, sorprendendoci, ma catturandoci immediatamente.
Inoltre le immagini da lui create conferiscono perfettamente l’idea di come si vivesse in quel luogo, quasi da poterne sentire l’odore, lo sporco tra le dita o il dolore diffuso in tutto il corpo.
Il corpo è l’altro protagonista della pellicola, utilizzato come un’arma per far sentire la propria voce, l’ultima arma - dopo c’è solo la morte.
McQueen nella parte conclusiva e più straziante delinea il cedimento e il deperimento del corpo.
Poco per volta si arriva a un punto di non ritorno, che ha in sé la forza inarrestabile della mente che continua a lottare fino all’ultimo respiro.
“Hunger” è un film disarmante nella sua straordinarietà, che indipendentemente dal torto o dalla ragione, dall’essere colpevole o innocente, lancia un messaggio chiaro: afferma a gran voce che la dignità umana non la si può/deve togliere a nessuno, altrimenti siamo tutti colpevoli: chi la toglie e chi sapendolo lascia fare.
McQueen ha fatto un lavoro mirabile, sarebbe un delitto non vederlo.
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