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Titolo: Joy
Titolo originale: Joy
USA 2015 Regia di: David O. Russell Genere: Drammatico Durata: 104'
Interpreti: Jennifer Lawrence, Bradley Cooper, Robert De Niro, Elisabeth Röhm, Dascha Polanco, Virginia Madsen, Edgar Ramirez, Isabella Rossellini, Diane Ladd, Jimmy Jean-Louis
Sito web ufficiale: www.foxmovies.com/movies/joy
Sito web italiano:
Nelle sale dal: 28/01/2016
Voto: 5
Recensione di: Luca Orsatti
L'aggettivo ideale: Pasticciato
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Mettiamola così: Joy è un film di David O. Russell in tutto e per tutto. Famiglie disagiate e figlie del loro tempo (in questo caso i late 80s e early 90s, dominati dalla tv che trasmette improbabili telenovelas), un andamento nervoso perché ormai è quella la cifra del regista, una interpretazione centrale che urla ‘nomination all’Oscar’.
La poetica d’autore è riconoscibile e salva, per chi se lo stesse chiedendo.
Il regista stesso pare ormai ossessionato seriamente nel voler raccontare storie americane radicate in un determinato periodo: sarebbe interessante vedere come se la cava adesso con una storia ‘contemporanea’ alla Il Lato Positivo. Ma stiamo andando oltre Joy.
Il fatto è che è lo stesso O. Russell sembra voler portare pubblico e critica a fare certi ragionamenti. Altrimenti perché avrebbe trasformato Joy in una favola che ha il sapore di una sempreverde parabola americana? Più che American Hustle, è paradossalmente The Fighter che ‘parla’ direttamente con Joy: il Sogno Americano è lì. Entrambi vogliono parlare all’America di oggi, in fondo.
Joy è a tutti gli effetti una storia esemplare, in cui non può sfuggire a nessuno il fatto che l’eroe di turno è una donna. Madre di famiglia, separata dal marito con cui ha comunque ottimi rapporti (stanno meglio assieme oggi che ieri), grande lavoratrice, energica: è così che David O. Russell vede Joy Mangano, la vera inventrice del Miracle Mop, il micio che oggi usiamo tutti.
Joy si è creata il suo futuro e il suo posto nel mondo, ma prima deve passare attraverso il complicato inferno del business.
E Joy non ha mai fatto business in vita sua, ergo... Però la determinazione e la caparbietà vincono su tutto. Una grande dose di intuito e intelligenza poi certo non guastano. Più esemplare di così…
Il fatto è che il ragionamento del film, su un’epoca, una nazione e un personaggio, in fondo sta tutto qui. A questo punto, per i detrattori, paradossalmente è più interessante in teoria il tentativo fatto con American Hustle, che scimmiottando Scorsese voleva fare un ragionamento anche sul cinema (esattamente a cosa arrivava chi scrive non lo sa, ma questo è un altro discorso).
Fatto sta che Joy, che si guarda come un tv movie con budget (60 milioni che non si capiscono dove siano andati), mette a nudo dei palesi difetti del cinema di David O. Russell. E Accidental Love, va da sé, non conta. Chi aveva trovato pasticciato American Hustle avrà pane per i propri denti: perché qui non si riesce proprio a capire come, con una storia così semplice e lineare (‘esemplare’, appunto), ne esca fuori un film i cui raccordi tra scene siano così tagliati con l’accetta. Il tocco grottesco, palese con il personaggio di Isabella Rossellini, poi non aiuta.
La colpa è soprattutto di un montaggio a tratti francamente inspiegabile, con il quale anche le decisioni della stessa protagonista faticano a trovare un senso: tanto che l’invenzione del mocio e un taglio di capelli hanno quasi la stessa valenza.
Va bene, c’è un percorso e il taglio di capelli ne fa parte (!!), ma qui di base c’è una narrazione disarticolata, anche poco interessante, e un femminismo da abc.
Ci sono state di nuovo molte critiche a Jennifer Lawrence, ormai musa del regista (assieme a Cooper e De Niro, ma anche di più). Però in questo caso mi sembrano ingiuste, e - queste sì - solo una reazione a tutti i premi che alla fine l’attrice si becca ogni volta che gira un film con O. Russell. Invece è lei che si trascina il film sulle spalle, è lei che dà energia a un personaggio canonicissimo per il quale altrimenti, scritto in questo modo, non troveremmo nulla di davvero interessante.
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