La polvere del tempo
Titolo originale: The Dust Of Time
Italia, Germania, Russia, Grecia.: 2008. Regia di: Theodoros Angelopoulos
Genere: Drammatico
Durata: 125'
Interpreti: Willem Dafoe, Bruno Ganz, Michel Piccoli, Irène Jacob, Christiane Paul, Kostas Apostolidis, Tiziana Pfiffner, Alexandros Mylonas, Norman Mozzato, Reni Pittaki
Sito web ufficiale: www.dustoftime.com
Sito web italiano:
Nelle sale
dal: 01/06/2011
Voto: 7
Trailer
Recensione di: Domenico Astuti
L'aggettivo ideale: Originale
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Raccontare circa cinquanta’anni di storia è complicato ( dalla morte di
Giuseppe Stalin all’impeachment di Richard Nixon, dalla guerra del
Vietnam alla caduta del muro di Berlino, fino al capodanno della fine
del Novecento ), se a questo si aggiunge una storia d’amore a tre, due
uomini e una donna lungo tutta la loro vita, e a questo si sovrappongono
gli ideali infranti del comunismo e a tutto questo anche qualcosa di
autobiografico del regista, allora diventa tutto complesso e forse anche
irrisolto.
Nonostante il regista si chiami Angelopoulos – tra i
maestri e pietre miliari del Cinema del Novecento Occidentale – e il suo
sceneggiatore sia il nostro caro poeta romagnolo Tonino Guerra – uno
dei più importanti scrittori di Cinema degli ultimi cinquant’anni -. Un
film che spazia temporalmente dal 1953 ( morte di Stalin ) al 1999 (
fine di un secolo e dell’ideologia comunista ) con innesti nel 1956 (
Ventesimo Congresso ma anche separazione del bimbo A di tre anni dalla
madre Eleni – simbolo della rivolta d’Ungheria ? ), al 1974 ( quando la
donna e il suo innamorato Jacob lasciano l’Unione Sovietica e vanno
prima in Austria, poi in Italia e quindi negli Stati Uniti dove lei
potrà cercare suo figlio A, e l’amato Spyros ), al 1989 ( con la caduta
del muro di Berlino ).
Il tutto tra Roma, Kiev, la Siberia, Colonia,
Berlino, New York e il confine con il Canada. Questo film diretto quasi
quattro anni fa ( durante le riprese Harvey Keitel è stato sostituito
da Bruno Ganz e la nostra Golino dalla kieslowskiana Irene Jacob ) è la
seconda parte della trilogia sul tempo e la memoria, dopo "La sorgente
del fiume" ( 2004 ). Una specie di recerche proustiana del tempo
perduto e in questo caso non ritrovato, ma ancora più precisamente è
raccontata come un sogno e quindi come i sogni a volte evanescenti,
privi di razionalità e contraddittori ( luoghi, età dei personaggi,
passaggi temporali ), e le vicende dei protagonisti non sembrano essere
al centro della storia, ma anche tutto il resto pur presente non sembra
la parte principale. In questo film – per la prima volta – non ci sono
stilisticamente gli amati piani sequenza di Theo che rappresentano dei
momenti in tempo reale, anzi c’è un nuovo modo di girare, più
frammentario, nervoso.
Il film inizia a Roma, nel 1999, A ( Angeloupulos ? – l’attore Willem
Dafoe ) un famoso regista ha ripreso a girare a Cinecittà un film
precedentemente abbandonato per ragioni sconosciute. E un uomo che ha
dato la sua vita all’arte del Cinema ( “ La mia unica casa sono le mie
storie “ ) si ritrova solo, abbandonato dalla moglie e con l’unica
figlia adolescente che vive con lui a Berlino, ma è infelice, sola e
pensa già al suicidio. Mentre è negli studios ad ascoltare una musica
per il suo film riceve una strana telefonata della figlia. Inquieto
corre a Berlino.
Nel 1953, nel giorno della morte di Giuseppe Stalin,
in Unione Sovietica Eleni ( Irène Jacob ), che vive lì come tanti
patrioti greci comunisti, ritrova il suo amato Spyros che è venuto
clandestinamente e con documenti falsi per portarla con sé negli Stati
Uniti; ma vengono scoperti, separati e arrestati.
Il film si sviluppa
su questi due parti più lunghe e consolidate ( vent’anni di Siberia di
Eleni e del suo innamorato Jacob – la ricerca di A di sua figlia a
Berlino nel 1999 ) e passa rapidamente da un periodo all’altro, con
Eleni negli Stati Uniti alla ricerca di Spyros e di suo figlio A che
vive in Canada per non andare in guerra in Vietnam.
Eleni ritornerà a
vivere con Spyros dopo che lui la cercherà in un bar di Toronto. E la
seconda parte del film, un lunghissimo finale frammentario e un po’
ridondante, fa incontrare per l’ultima volta Spyros e Eleni con Jacob in
un andare e venire quasi fosse una danza immobile. Dove le vite dei
tre si separano definitivamente un po’ per volontà e un po’ per
affinità.
Come abbiamo scritto sopra Theo Angelopoulos è uno dei maestri del
Cinema del Novecento ( come non ricordare alcuni dei suoi film, come la
trilogia greca “ I giorni del '36 “ (1972), “ La recita “ (1975) e “ I
cacciatori “ ( 1977 ) e poi il meraviglioso “ Lo sguardo di Ulisse “ e
il capolavoro “ Il passo sospeso della cicogna “ con Mastroianni e la
Moreau ) ed anche in questo caso ha riempito il film di lampi autorali e
da immagini potenti, ma onestamente è un film meno riuscito, troppo
personale per tenere sempre a fuoco la storia, e può anche capitare che
parlando dell’alto culturale e morale si possa cadere nel banale e nel
ridondante. Per chi lo ama si può dire che delude le attese, e l’uso
della teatralità ( nel senso brechtiano ) diventa un po’ finto e
ingombrante. I temi della memoria, del tempo che passa, la
constatazione della sconfitta, l’idea dell’esilio, del viaggio e del
tempo perduto e forse ritrovato solo da Spyros che tiene per mano sua
nipote sotto la porta del Brandeburgo innevata ( copre la polvere o la
cancella ? ) sono soltanto forma ed eleganza di realizzazione non
risposte anche brevi. Questo film è come una montagna che partorisce un
topolino.
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