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Titolo: L'ultima parola - La vera storia di Dalton Trumbo
Titolo originale: Trumbo
USA 2015 Regia di: Jay Roach Genere: Drammatico Durata: 124'
Interpreti: Bryan Cranston, Diane Lane, Helen Mirren, John Goodman, Louis C.K., Elle Fanning, David Maldonado, Michael Stuhlbarg, John Getz, Laura Flannery
Sito web ufficiale:
Sito web italiano: www.bleeckerstreetmedia.com/trumbo
Nelle sale dal: 11/02/2016
Voto: 6,5
Recensione di: Dario Carta
L'aggettivo ideale: Volenteroso
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Come un cancro nella fabbrica dei sogni,il maccartismo degli anni ’50 ha infranto i desideri e le speranze di un popolo e della sua nazione.
Furono le pagine nere della storia del cinema,bollato dal marchio infame di una politica deviata e faziosa.
Nel 1947 la Commissione sulle Attività Antiamericane chiama alcuni protagonisti della scena di Hollywood a rendere conto delle proprie attività nel Partito Comunista,sotto la sfrontata minaccia della sospensione da ogni tipo di lavoro nel settore,in altri termini un ostracismo professionale.
Purtroppo nel pericolo di finire ascritti nella Black List,molti registi,scrittori ed attori denunciarono i loro colleghi ed amici,salvando il proprio sedere a scapito di quello di chi gli ha sempre lavorato di fianco.
Su quella lista,la Lista Nera degli Unfriendly Ten,i Dieci Ostili,comparve il nome di Dalton Trumbo,prolifico sceneggiatore,scrittore ed artista di un cinema quale quello di “Spartacus”,”Solo sotto le stelle”,”Vacanze romane”,”Exodus”,”Papillon” e molto altro.
Mettersi a parlare di Trumbo equivarrebbe a disquisire sull’universo,limitandosi a discorrere su stelle e pianeti senza pensare alla fisica,alla chimica, alle teorie quantistiche,ai modelli astronomici,alle formule spazio-temporali o alle generalità cosmiche che regolano tutte queste materie.
George Clooney,nella sua introduzione al “Io sono Spartaco” di Kirk Douglas,scrive quanto sia oggi difficile rendersi conto di quanto sia stato pesante ed ingombrante il maccartismo.
Improbo immaginare quanti americani sinceri ed onesti siano capitati sotto le sgrinfie del Senato,costretti a denunciare e svergognare (alcuni comunque NON costretti) i loro amici,se volevano continuare a portare a casa il pane e restare liberi di girare per le strade.
Trumbo fu il nome sporcato e illustre,reo di appartenere al Partito,e troppo tardi affrancato dall’onta della vergogna.
Pagò per questo,con la prigione e con l’anonimato in suoi lavori quali “Vacanze romane” cui venne restituito il credito solo nel 2011.
Ma già nel 1960 fu Kirk Douglas,produttore e protagonista dello “Spartacus” di Kubrick ad aver messo in chiaro e tondo il nome dello sceneggiatore nei titoli di testa del film,per la prima volta dopo la comparizione di Trumbo daventi alla Commissione del Senato.
Il biopic “Trumbo” di Jay Roach (”Mi presenti i tuoi?”) cerca,con buon proposito,di presentare (o ricordare) a questa generazione un artista (qui rappresentato da Bryan Cranston),autore dalle doti tutte speciali,ma forse anche di fare un poco di luce su uno scenario oggi difficile da supporre credibile.
La buona intenzione è lodevole,ma il lavoro è difficile quanto il cavare da una pietra informe una figura in apparente movimento.
Il rischio è la prolissità ed un dispendio di energia senza lavoro,risultato di una esposizione di fatti storici in forma di cronaca più prosaica che realistica e sganciata dalla fotografia dell’epoca in cui i fatti si sono svolti.
Ecco dunque che le belle ma piuttosto prevedibili carrellate dai vapori nostalgici, memorie di quella Hollywood,le sequenze in bianco e nero di servizi cinematografici nelle sale dei teatri,la regia in modalità retro e la galleria di foto d’epoca ricostruite,sono il veicolo del regista per un compendio, frettoloso per dovere di tempo,di politica e showbiz,un troppo spiccio shot per recuperare allo spettatore il colore e l’aria del clima che si respirava a quell’epoca.
Ci sarebbe tanta Storia da raccontare in un film di due ore per capire dove e come visse Trumbo.
Si sarebbero da raccontare le eco della Grande Depressione,l’alito del fascismo,l’esodo di migliaia di americani nelle file del Partito Comunista,l’alleanza dell’ex Unione Sovietica nel secondo conflitto mondiale,la lotta per i diritti dei lavoratori,lo spettro della Guerra Fredda,la crisi d’identità del Paese,gli squilibri politici che ne conseguirono.
Tutto questo scenario fa da sfondo alla storia di un uomo che,figlio del suo tempo,ne è restato vittima e principio attivo.
Il film,in una fattura piuttosto redazionale,resta un po’ a galla dei venti storici che hanno spirato all’epoca e,se il lavoro arranca,è proprio per la mancanza di contestualizzazione della storia dello sceneggiatore.
Divertono peraltro le apparizioni di figure cult del cinema,da E. G. Robinson (Michael Stuhlbarg) a John Wayne (David James Elliott),da Kirk Douglas (Dean O’Gorman) a Louis B. Mayer (Richard Portnow),da Otto Preminger (Christian Berkel) a Sam Wood (John Getz) e non ultima Hedda Hopper,questa una strepitosa Helen Mirren.
Un’osservazione fa fatta a riguardo dei dialoghi in lingua originale,purtroppo discriminante perduta nelle versioni doppiate.
Fra tutte,fortemente evocativa è l’interpretazione di David J. Elliott dal cui John Wayne spicca la ben nota parlata forte e strascicata,di gran lunga più verosimile delle fattezze di Elliott rispetto all’originale.
Helen Mirren non sbaglia un colpo,neanche qui nelle parti della Strega Hedda Hopper,e le sue movenze l’accento e la scansione delle toni di voce sono il risultato di un profondo studio sulla regina dei gossip.
C’è una frase nel film che spiega la condizione e la posizione di Hollywood sullo scenario politico americano e la sua controversa declinazione maccartista.
Alla dichiarazione del Comitato sull’effettivo pericolo del Comunismo nei confronti dei valori democratici,insito nello spettacolo,un cronista risponde sarcastico se questo è possibile “facendo film”.
Segue la replica del politico:”…il cinema è la più potente influenza mai creata!”
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