Shame
Titolo originale: Shame
Gran Bretagna: 2010. Regia di: Steve McQueen Genere: Drammatico Durata: 99'
Interpreti: Michael Fassbender, Carey Mulligan, James Badge Dale, Nicole
Beharie, Hannah Ware, Elizabeth Masucci, Lucy Walters, Robert Montano,
Anna Rose Hopkins, Jake Richard Siciliano, Alexandra Vino, Jay Ferraro,
Mackenzie Shivers, Alex Manette, Briana Marin, Frank Harts, Kate
Dearing, Wenne Alton Davis, Eric Miller, Stephane Nicoli, Carl Low, Neal
Hemphill, Mari-Ange Ramirez, Rachel Farrar
Sito web ufficiale: www.foxsearchlight.com/shame
Sito web italiano:
Nelle sale dal: 13/01/2012
Voto: 7,5
Trailer
Recensione di: Domenico Astuti
L'aggettivo ideale: Potente
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Il Cinema ha trattato raramente e in modo poco omogeneo le conseguenze sessuali di disastri emotivi e affettivi. Per esser brevi, ricordiamo un solo film italiano Primo amore di Garrone; mentre dall’estero possiamo ricordare
alla rinfusa L’Impero dei sensi di Oshima, Kissed di Lynne Stopkewich, In cerca
di Mr. Goodbar di Richard Brooks.
L’argomento è ancora in parte tabù come tabù resta tutto quello che non è ovvio, banale e quindi rassicurante.
Adesso esce questo forte, interessante e sperimentale (narrativamente, registicamente) Shame di Steve McQueen, omonimo dell’attore mito degli Anni Sessanta/Settanta; quarantenne, nero, cresciuto a West London, adesso abita ad Amsterdam ed ha girato il film a New York.
Tra le sue prime pellicole ricordiamo i corti Bear
(1993) e Deadpan (1997); nei primi anni di questo secolo ha partecipato come
artista multimediale a ben due Biennali di arti visive di Venezia e nel 2008 ha
partecipato con il suo primo film Hunger al Festival di Cannes nella sezione Un
Certen Regarde, premiato con la Caméra d'or per la miglior opera prima (un film
sull’eroe irlandese Bobby Sands morto dopo uno sciopero della fame nel 1981). Shame in inglese vuol dire varie cose, disonore, peccato, vergogna. Ma in
realtà questi significati sarebbero da dare alla famiglia in cui sono cresciuti
Brandon e Sissy (ma di questo per fortuna non c’è quasi traccia) e non alle
vite interrotte e sofferenti di questi due giovani adulti alla deriva.
Brandon è un uomo poco più che trentenne, con un buon lavoro creativo, piace
alle donne ed anche agli amici, è serio e riservato. Vive da solo a New York in
una casa ordinata e un po’ algida. Ma ha un problema, non riesce ad avere dei
rapporti affettivi e quelli sessuali li riesce a vivere solo con prostitute, in
situazioni di degrado metropolitano e con i video porno. Perché? McQueen non è
interessato a scoprirlo, preferisce fare un film moderno e rifiuta la
narrazione classica tipica degli anni Sessanta e Settanta e si rifiuta anche di
proporci un finale salvifico o almeno aperto. Gli basta (e basta ad un pubblico
adulto) far dire alla sorella Sissy “Non siamo cattivi, veniamo solo da un
brutto posto”.
Ma l’equilibrio sopra la follia di Brandon inizia a perdere
colpi nel momento in cui sua sorella Sissy si presenta a casa e vuole essere
ospitata per un periodo; forse perché in fondo si conoscono bene ma allo stesso
tempo sono così distanti nelle reazioni emotive che non possono darsi aiuto a
vicenda, forse per antichi ricordi, forse comuni sofferenze, forse perché lei è
quello che lui non può accettare (con relative cicatrici sui polsi, sempre
bisognosa d’affetto e alla ricerca di uomini da cui essere amata).
Brandon
inizia a perdere qualche frammento della sua armatura esistenziale; gli scivola
una lacrima quando ascolta sua sorella cantare in un locale, corre di notte per
strada perché non sa impedire a Sissy di accoppiarsi con un suo amico
rimorchione che le farà del male, invita a cena una sua collega che è
interessato a lui, ma le resiste e quando successivamente decide di portarla in
un albergo non riesce a fare l’amore, per paura dei sentimenti e di lasciarsi
andare. Rimasto da solo convoca una prostituta e lì riesce a fare quello che ha
sempre fatto.
Il finale è circolare, lui ritrova in metro una giovane donna che
aveva intravisto e seguito all’inizio e il gioco della prima volta sembra
riprendere dallo stesso punto in cui era stato lasciato.
Ripetiamo un film forte e sperimentale nel racconto, in cui all’autore non
interessa giudicare o cercare giustificazioni morali, il protagonista è messo a
nudo al centro della scena e lo fa osservare per quello che è.
Sorprendente e
fondamentale la presenza di Michael Fassbender (ha vinto con questa
interpretazione la Coppa Volpi all’ultimo Festival di Venezia – lo abbiamo
visto ultimamente anche nel film di Cronemberg A dangerous Method), come brava
risulta anche la deliziosa Carrey Mulligan (Sissy) e Nicole Beharie nel ruolo
della collega sexy e spiritosa. Da segnalare anche la fotografia e il
montaggio.
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