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Scritto da Domenico Astuti   
venerdì 10 febbraio 2012

Shame
Titolo originale: Shame
Gran Bretagna: 2010. Regia di: Steve McQueen Genere: Drammatico Durata: 99'
Interpreti: Michael Fassbender, Carey Mulligan, James Badge Dale, Nicole Beharie, Hannah Ware, Elizabeth Masucci, Lucy Walters, Robert Montano, Anna Rose Hopkins, Jake Richard Siciliano, Alexandra Vino, Jay Ferraro, Mackenzie Shivers, Alex Manette, Briana Marin, Frank Harts, Kate Dearing, Wenne Alton Davis, Eric Miller, Stephane Nicoli, Carl Low, Neal Hemphill, Mari-Ange Ramirez, Rachel Farrar
Sito web ufficiale: www.foxsearchlight.com/shame
Sito web italiano:
Nelle sale dal: 13/01/2012
Voto: 7,5
Trailer
Recensione di: Domenico Astuti
L'aggettivo ideale: Potente
Scarica il Pressbook del film
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shame_leggero.pngIl Cinema ha trattato raramente e in modo poco omogeneo le conseguenze sessuali di disastri emotivi e affettivi. Per esser brevi, ricordiamo un solo film italiano Primo amore di Garrone; mentre dall’estero possiamo ricordare alla rinfusa L’Impero dei sensi di Oshima, Kissed di Lynne Stopkewich, In cerca di Mr. Goodbar di Richard Brooks.
L’argomento è ancora in parte tabù come tabù resta tutto quello che non è ovvio, banale e quindi rassicurante.

Adesso esce questo forte, interessante e sperimentale (narrativamente, registicamente) Shame di Steve McQueen, omonimo dell’attore mito degli Anni Sessanta/Settanta; quarantenne, nero, cresciuto a West London, adesso abita ad Amsterdam ed ha girato il film a New York.
Tra le sue prime pellicole ricordiamo i corti Bear (1993) e Deadpan (1997); nei primi anni di questo secolo ha partecipato come artista multimediale a ben due Biennali di arti visive di Venezia e nel 2008 ha partecipato con il suo primo film Hunger al Festival di Cannes nella sezione Un Certen Regarde, premiato con la Caméra d'or per la miglior opera prima (un film sull’eroe irlandese Bobby Sands morto dopo uno sciopero della fame nel 1981). Shame in inglese vuol dire varie cose, disonore, peccato, vergogna. Ma in realtà questi significati sarebbero da dare alla famiglia in cui sono cresciuti Brandon e Sissy (ma di questo per fortuna non c’è quasi traccia) e non alle vite interrotte e sofferenti di questi due giovani adulti alla deriva.

Brandon è un uomo poco più che trentenne, con un buon lavoro creativo, piace alle donne ed anche agli amici, è serio e riservato. Vive da solo a New York in una casa ordinata e un po’ algida. Ma ha un problema, non riesce ad avere dei rapporti affettivi e quelli sessuali li riesce a vivere solo con prostitute, in situazioni di degrado metropolitano e con i video porno. Perché? McQueen non è interessato a scoprirlo, preferisce fare un film moderno e rifiuta la narrazione classica tipica degli anni Sessanta e Settanta e si rifiuta anche di proporci un finale salvifico o almeno aperto. Gli basta (e basta ad un pubblico adulto) far dire alla sorella Sissy “Non siamo cattivi, veniamo solo da un brutto posto”.

Ma l’equilibrio sopra la follia di Brandon inizia a perdere colpi nel momento in cui sua sorella Sissy si presenta a casa e vuole essere ospitata per un periodo; forse perché in fondo si conoscono bene ma allo stesso tempo sono così distanti nelle reazioni emotive che non possono darsi aiuto a vicenda, forse per antichi ricordi, forse comuni sofferenze, forse perché lei è quello che lui non può accettare (con relative cicatrici sui polsi, sempre bisognosa d’affetto e alla ricerca di uomini da cui essere amata).
Brandon inizia a perdere qualche frammento della sua armatura esistenziale; gli scivola una lacrima quando ascolta sua sorella cantare in un locale, corre di notte per strada perché non sa impedire a Sissy di accoppiarsi con un suo amico rimorchione che le farà del male, invita a cena una sua collega che è interessato a lui, ma le resiste e quando successivamente decide di portarla in un albergo non riesce a fare l’amore, per paura dei sentimenti e di lasciarsi andare. Rimasto da solo convoca una prostituta e lì riesce a fare quello che ha sempre fatto.

Il finale è circolare, lui ritrova in metro una giovane donna che aveva intravisto e seguito all’inizio e il gioco della prima volta sembra riprendere dallo stesso punto in cui era stato lasciato. Ripetiamo un film forte e sperimentale nel racconto, in cui all’autore non interessa giudicare o cercare giustificazioni morali, il protagonista è messo a nudo al centro della scena e lo fa osservare per quello che è.
Sorprendente e fondamentale la presenza di Michael Fassbender (ha vinto con questa interpretazione la Coppa Volpi all’ultimo Festival di Venezia – lo abbiamo visto ultimamente anche nel film di Cronemberg A dangerous Method), come brava risulta anche la deliziosa Carrey Mulligan (Sissy) e Nicole Beharie nel ruolo della collega sexy e spiritosa. Da segnalare anche la fotografia e il montaggio.

 
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