Titolo: Tar
Titolo originale: Tar
USA: 2012. Regia di: Edna Biesold, Sarah-Violet Bliss, Bruce Thierry Cheung, Gabrielle Demeestere, Alexis Gambis, Shruti Ganguly, Brooke Goldfinch, Omar Zuniga Hidalgo, Shripriya Mahesh, Pamela Romanowsky, Tine Thomasen, Virginia Urreiztieta
Genere: Drammatico Durata: 72'
Interpreti: Jessica Chastain, Lauren Mae Shafer, Vince Jolivette, Kathi Moore, Zachary Unger, Mia Serafino, Danika Yarosh, Lauren Kole, Evan Kole, Jordan March
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Nelle sale dal: Festival di Roma 2012
Voto: 6
Trailer
Recensione di: Ilaria Mutti
L'aggettivo ideale: Poetico
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Tratto dall’omonima raccolta di poesie di CK William, poeta americano vincitore del Premio Pulitzer, Tar è un lavoro collettivo di studenti laureati della NYU guidati da James Franco.
Attraverso l’evocazione della poesia si arriva a un immagine che narra alcuni episodi della vita dello stesso poeta e della sua idea di memoria come elemento salvifico che si contrappone a una sofferenza personale che tende solo alla morte. In questa visione filosofica pessimistica, il film si avvale dell’associazione di idee per far scaturire una narrazione quasi fosse un processo proustiano.
E se da un lato ne amplifica l’idea di sperimentalizzazione e di immagine frammentata nel processo narrativo, dall’altro confonde lo spettatore che si trova continuamente disorientato. Questo on the road della memoria, ha tre temi fondamentali. Una festa psichedelica a base di droga e alcool che incarna la degradazione della vita, un cavallo morente che è simbolo dell’agonia dell’esistenza e il disastro nucleare a Three Mile Island, avvenuto vicino alla casa del poeta, che è un tunnel diretto verso la morte, vista come un’esperienza personale e familiare che l’autore umanamente non riesce a superare se non elevandola a tema lirico nelle sue poesie.
James Franco diventa CK William, in una pellicola che compie continui salti narrativi che ricordano per alcuni tratti quelli “Tree of Life” di Malick, ma purtroppo qui il “gioco” non riesce proprio per la mancanza di un’unità di fondo che non si riesce a cogliere perché troppo affidata all’estetica e poco alla storia.
Rimangono “delle pitture di celluloide” alcuni paesaggi in cui la luce dai toni caldi riesce a creare una sorta di sogno allucinato e continuamente interrotto da un montaggio che tende a spezzare le tessere di un puzzle più che a portarle a un’unità.
Nel complesso l’opera è quindi una buona intuizione non del tutto riuscita, che comunque ha un valore di sperimentazione e di qualità di immagine che rappresentano il suo vero punto di forza.
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