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Titolo: Lo chiamavano Jeeg Robot
Titolo originale: Lo chiamavano Jeeg Robot
Italia 2015 Regia di: Gabriele Mainetti Genere: Fantascienza Durata: 112'
Interpreti: Claudio Santamaria, Luca Marinelli, Ilenia Pastorelli, Stefano Ambrogi, Maurizio Tesei
Sito web ufficiale: www.lochiamavanojeegrobot.it/
Sito web italiano:
Nelle sale dal: 25/02/2016
Voto: 6,5
Recensione di: Ciro Andreotti
L'aggettivo ideale: Riuscito....
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Enzo Ceccotti, un ladruncolo di Tor Bella Monaca, per sfuggire ad un arresto finisce nelle acque del Tevere in un punto ove sono depositati bidoni contenenti sostanze radioattive.
Una volta tornato a casa Enzo s’accorge di avere ereditato una forza sovraumana e immediatamente inizia a impiegarla per eseguire nuovi furti.
Il quasi quarantenne Mainetti, già visto sul piccolo schermo fra i protagonisti di “Un medico in famiglia” e in molte altre fiction, firma la sua opera prima quale tributo al mondo del ‘sol levante’ e alla sua città d’origine; senza dimenticarsi il cortometraggio ‘Basette’ anche questo sul medesimo tema, ovvero ‘Manga e periferia Romana’, un corto che potete tranquillamente recuperare on – line e che anche in tal caso denuncia la grande passione del regista per il mondo dei fumetti.
La trama per lunghi tratti piacevole, ironica e spiazzante, violenta e con protagonisti ben delineati, ruota attorno alla figura appesantita di Enzo Ceccotti, un Santamaria in grado di stritolare termosifoni come fossero fisarmoniche e capace di scardinare i bancomat come si trattasse di sacchetti di patatine, immediatamente issato al ruolo di un Robin Hood dei giorni nostri, effigiato sui murales dai writers del suo quartiere come fosse un ladro buono pronto a rubare per donare ai meno ricchi. Alter ego di Enzo un Luca Marinelli che impersona un nuovo protagonista ampiamente problematico, esattamente come il Cesare di ‘Non essere cattivo’; anche in questo caso ‘lo Zingaro’ di Marinelli vuole essere una voce fuori dal coro, meno tragica e più trash del personaggio precedente, ma sempre desideroso di uscire dall’anonimato di una vita grigia come quella alla quale è da sempre condannato, fatta eccezione una comparsata a ‘Buona Domenica’ risalente a molti anni prima.
Alla fine l’esordio di Mainetti riesce ampiamente a soddisfare pubblico e critica mascherando una storia cruenta con una fantasia utile per narrare storie ai margini, il tutto forse autocompiacendosi troppo di una narrazione in chiave cine-fumettistica. Sarà quindi solo dalla seconda opera che si potrà capire se l’Hiroshi Shiba di Santamaria sia stato, almeno per ora, un semplice fuoco di paglia.
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