Dorian Gray
Titolo originale: Dorian Gray
Gran Bretagna: 2009 Regia di: Oliver Parker Genere: Fantasy Durata: 112'
Interpreti: Ben Barnes, Colin Firth, Ben Chaplin, Rebecca Hall, Fiona Shaw, Emilia Fox, Rachel Hurd-Wood, Caroline Goodall, Pip Torrens, Douglas Henshall, Maryam D'Abo, Michael Culkin, Johnny Harris, David Sterne, Jo Woodcock, Hugh Ross, Max Irons, Noli McCool, Louise Rose, Tallulah Sheffield, Paul Warren, Aewia Huillet, Lily Garrett
Sito web:
Nelle sale dal: 27/11/2009
Voto: 6
Trailer
Recensione di: Dario Carta
L'aggettivo ideale: Esanime
Difficile rispondersi sulle motivazioni che spingono le compagnie di produzione americane a mettere in cantiere trasposizioni cinematografiche di opere letterarie il cui spessore e complessità formale corroborano la certezza fallimentare dell’intento.
Oliver Parker,regista con un background maturato nell’horror,affronta la sfida con spirito caparbio,determinato a tradurre nelle immagini di un cinema attuale le pagine di un romanzo della fatta del “Ritratto di Dorian Gray”.
Fa bene,il regista,a limitare le sue ambizioni e ad argomentare la sua pellicola tenendosi ad adeguata distanza dall’opera originale,evitando un imbarazzante contesto competitivo con la letteratura di Wilde.
Dove Parker decide di fare il suo gioco,è nell’esposizione visuale ed immaginifica del racconto,dimensionandolo scenograficamente in una prospettiva spettacolaristica a volte esacerbata dagli eccessi caratteriali dei personaggi che animano la scena o dagli incubi visionari e dalle nevrosi che a volte tradiscono una grottesca inadeguatezza del tessuto narrativo.
Pur conservando un’aura gotica che avvolge tutto il film,con giochi di chiari-scuri in interni epocali e -poche- scene in ambienti esterni girate con fugaci riprese su sfondi di pitturazioni matte,il dramma dei protagonisti si sviluppa su un piano che si discosta,e ben ne coglie al regista, dall’aspetto analitico che muove i rapporti fra le persone della storia,spostandosi in un ambito più figurativo che descrittivo che lambisce solamente,peraltro con una certa qual efficacia,i moti emotivi dei protagonisti,trasponendoli su uno sfondo più visualizzato ed immaginifico.
La mostruosità del ritratto che si trasfigura nelle sembianze dell’anima malata di Dorian,è così affiancata dai rantoli che ne accompagnano la continua trasformazione,formando un effetto grottesco del dramma che è nucleo del romanzo.
E’ evidente che questo aspetto,come altri che confluiscono nella pellicola,travisa il senso simbolico che respira al centro del capolavoro di Wilde.
Oggi la figura di Dorian Gray è lontana dai timori del contagio alla società di questo passaggio di millennio.
Il comportamento di un uomo che si abbandona alle nefandezze descritte nel romanzo e tradotte in immagini nel film,sono ben distinte dall’infido pericolo della secolarizzazione che ha preso il posto del peccato delle singole anime.
Non scandalizza l’uomo preda a gozzoviglie e lascivie sessuali o impulsi omicidi.
Ma oggi,come ieri,l’oggetto che muove l’apatia interiore dell’uomo distratto è il gioco eterno con la propria moralità.
Invitato da Lord Henry Wotton a raccogliere ogni occasione di piacere che la vita offre,Dorian viene trascinato in un vortice di illusioni diaboliche che lo trascina nell’abisso dal quale egli è inizialmente volontario prigioniero,rapito dalla lusinga di un’eterna demoniaca giovinezza (“…con questo alcool inchiodo l’anima sull’altare di satana!”).
Lord Wotton attira il giovane Gray in una trappola fatale nella quale entrambi resteranno invischiati e il giovane vivrà agitandosi in una esistenza assimilata ad una fiamma che brucia,restando viva ed accesa ad illuminare il nulla del torbido abisso dell’annientamento dell’anima,prigioniera di un corpo fittizio illusoriamente mantenuto giovane.
In molte sequenze successive,Dorian resterà ipnotizzato davanti al fuoco,simbolo della sua vita e del suo destino.
Nel film l’involuzione morale di Gray,il suo graduale processo di trasformazione e l’intima sofferenza di una lenta ed inesorabile metamorfosi in un degrado emotivo e malato,è espresso in un tempo che non lascia spazio allo spettatore di soffrire i suoi stessi patimenti e la sofisticata descrizione della profonda angoscia esistenziale del protagonista si risolve in una corsa affrettata di sequenze finali inadeguatamente incalzanti ed accelerate.
Nel romanzo l’interfaccia fra la realtà e l’apparenza è sublimata nell’aspetto di un’arte che si fa evidenza.
Il ritratto,celato in una soffitta che fu teatro delle sofferenze di Dorian bambino,da finzione diventa realtà che si evolve in funzione del decadimento etico di Dorian la cui figura da reale diviene finzione e visualizzazione fittizia della sua condizione esistenziale.
Anche l’incontro fra due anime,quella di Dorian e di Sybil,attrice di teatro,nel film è vanificato in poche sequenze dai contorni amorfi e sbiaditi, che non rendono l’idea degli aspetti conflittuali tra le visioni virtuali e reali che animano i due personaggi.
Alla fine l’annullamento e la morte interverranno per ricondurre allo stato di equilibrio il moto inquieto avviato fra verità,moralità e simulazione,portando la quiete e il naturale decorso degli eventi umani.
Cercando di evitare i lacci degli archetipi letterari tradotti in ampollose sceneggiature di blando interesse,Parker ha il suo punto di partenza,ma manca l’obiettivo.
“Dorian Gray” avanza nel buio gotico di un film a metà fra un dramma e un fantasy storico cui mancano le fondamenta per poter reggersi.
La perdita dell’innocenza ed il degrado dell’anima smarrita in lussurie e dissolutezze restano compresse fra affrettati disegni di lineamenti caratteriali con poche luci ed ombre,mentre l’anima del romanzo che è capolavoro del genio narrativo di Oscar Wilde resta intrappolata nella tela di uno schermo che non si modifica di molto,dall’incipit del film al suo poco sorprendente epilogo.
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