La Bussola d’Oro
Titolo originale: The Golden Compass
USA, Regno Unito: 2007. Regia di: Chris Weitz Genere: Fantasy Durata: 114'
Interpreti: Nicole Kidman, Dakota Blue Richards, Daniel Craig, Eva Green, Sam Elliot, Christopher Lee, Tom Courtenay, Derek Jacobi
Sito web: www.goldencompassmovie.com
Nelle sale dal: 14/12/2007
Voto: 6,5
Recensione di: Nicola Picchi
“Queste oscure materie” di Philip Pullman si inserisce pienamente nella tradizione del fantasy di stampo anglosassone che, nato nella seconda metà dell’800 con il Gothic Revival e con gli scritti del preraffaellita William Morris, ha finora prodotto capolavori come le trilogie di Tolkien, C.S. Lewis (“Le cronache di Narnia” ma soprattutto il ciclo di Perelandra) e di Mervyn Peake (Gormenghast). Ben lontano dalle esagerazioni e dalle tentazioni superomistiche coltivate dalla “Sword and Sorcery” americana (Conan e affini), buona tuttalpiù per adolescenti con scompensi ormonali, il fantasy inglese unisce una maggiore raffinatezza stilistica ed una grande ricchezza di sottotesti al costante richiamo a comuni radici culturali, cosa che lo rende facilmente fruibile sia da un pubblico infantile che da uno più adulto.
Il regista Chris Weitz ha sceneggiato il primo volume della trilogia e ne ha tratto “La Bussola d’Oro”, edulcorando alcuni aspetti del libro a beneficio di un pubblico più vasto ma rimanendo tutto sommato abbastanza fedele agli assunti di partenza. In un mondo parallelo, dominato dall’inflessibile Magisterium, la dodicenne Lyra Belacqua viene in possesso dell’ultima Bussola d’Oro esistente, uno strumento in grado di rivelare la verità e, forse, di modificare il futuro. Al Jordan College di Oxford, dove vive Lyra, arriva l’affascinante ed ambigua Mrs. Coulter, scienziata ed esploratrice. Ben presto iniziano a verificarsi delle misteriose sparizioni di bambini, che voci non confermate vogliono rapiti dagli Ingoiatori e trasportati al nord, nella regione dello Svalbard. Lyra decide di partire per le regioni settentrionali con il suo inseparabile daimon (Pantalaimon) per salvare i bambini, ma il Magisterium è disposto a tutto per fermarla e per impadronirsi della preziosa Bussola d’Oro.
Quella dei daimon è l’invenzione più interessante di Pullman, resa nel film in maniera molto convincente grazie all’ottimo lavoro di Michael Fink (Batman Returns, Mars Attacks!, X-Men), supervisore degli effetti visivi: ogni essere umano è collegato ad uno spirito animale che simboleggia la sua anima, di cui costituisce l’emanazione fisica.
Il daimon di Lyra, come quello di tutti i bambini, che non hanno una personalità già strutturata, è proteiforme, mentre i daimon degli adulti sono stabili. L’idea del daimon non è tanto quella socratica (assimilabile alla voce della coscienza), quanto quella platonica del mito di Er: l’anima, prima di incarnarsi, sceglie una immagine, un disegno a cui si dovrà conformare sulla terra, e riceve da Lachesi un daimon che la aiuterà a compiere il suo destino.
Il concetto è stato in seguito sviluppato dalla psicoanalisi di orientamento junghiano ed in particolare da James Hillman, ma quello che importa in questa sede è che l’idea funziona benissimo anche in un contesto di fantasy “colto” come quello di Pullman/Weitz.
La separazione forzata di una persona dal proprio daimon la riduce ad una specie di larva, quando non ne provoca addirittura la morte, ed è proprio quello il fine che persegue il Magisterium, attraverso l’Intendenza Generale per l’Oblazione. Lo scopo di tale ente, guidato da un sempre carismatico Christopher Lee, è infatti il controllo assoluto sulle coscienze, non solo nel mondo di Lyra, ma anche in tutti gli altri universi. Nonostante nel libro sia maggiormente visibile che non nel film, è palese che dietro il Magisterium e le sue sordide trame si voglia adombrare la Chiesa Cattolica, vista come un’istituzione intollerante, reazionaria, e sempre pronta ad ostacolare la ricerca scientifica e ad accusare gli oppositori di eresia.
Una tesi che viene sì dalla lunga tradizione anticattolica della cultura inglese (dal ‘500 in poi) ma che risulta stranamente attuale, in tempi di vaneggiamenti su “relativismo etico” e “fallimento dell’Illuminismo”.
L’ambientazione (scenografia di Dennis Gassner) è vagamente steampunk, con suggestioni Art Decò: Lyra, interpretata da una bravissima ed energica Dakota Blue Richards, è un’orfanella ben poco dickensiana che si muove con naturalezza tra interni sontuosi e oxfordiani, navi di marinai gyziani, dirigibili Zeppellin e i ghiacci dello Svalbard, popolati da giganteschi orsi bianchi in armatura. Ed è proprio l’orso Iorek Byrnison (con la voce di Ian McKellen) uno dei personaggi più gustosi e divertenti del film, oltre a dar vita a due tra le scene più suggestive, come quella della sfida all’ultimo sangue con Ragnar Sturlusson, il Re degli Orsi, e quella della battaglia finale. Un’elegantissima Nicole Kidman, inguainata in abiti anni ’30 tra Jean Harlow e Carole Lombard che ricordano quelli disegnati dal grande costumista Adrian (costumi di Ruth Myers), disegna con la consueta bravura un personaggio di rara e gelida perfidia senza mai scadere nella caricatura, mentre Daniel Craig (nel ruolo di Lord Asriel, lo zio di Lyra) appare un po’ defilato, più che altro per esigenze di sceneggiatura. Si segnala anche la presenza nel cast di vecchi leoni del cinema e del teatro inglese, come Tom Courtenay e Derek Jacobi.
La regia di Chris Weitz è senza grossi colpi d’ala e un po’anodina, ma funzionale alla storia narrata.
Per chiudere in bellezza, è istruttivo citare il giudizio di un fantomatico “Catholic News Service” trovato in Rete, dove evidentemente scrivono dei sottili umoristi: “Il film ha un sottotesto anticlericale, elementi che si richiamano all’occulto, una protagonista nata fuori dal matrimonio ed un orso bevitore di whisky.
I genitori sono avvertiti. Può essere inadatto ai bambini sotto i 13 anni.”
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