Hulk
Titolo originale: The Hulk
USA: 2003. Regia di: Ang Lee Genere: Fantasy Durata: 138'
Interpreti: Eric Bana, Jennifer Connelly, Sam Elliott, Nick Nolte
Sito web: www.incrediblehulk.marvel.com
Nelle sale dal: 29/08/2003
Voto: 6,5
Trailer
Recensione di: Francesco Manca
L'aggettivo ideale: Alternativo
Se dai in mano un progetto ambizioso e dichiaratamente commerciale come questo ad un regista eclettico, particolare e coraggioso come Ang Lee, all’epoca reduce dall’apprezzato “La tigre e il dragone”, non devi certo aspettarti di vedere un prodotto sulla falsa riga di quelli sfornati negli ultimi anni da Michael Bay mirati solo ed esclusivamente al semplice entertainment e all’uso spropositato di costosissimi effetti speciali.
Certo, si tratta di un action-movie, è innegabile, ma soffermarsi solo sull’aspetto più superficiale di uno dei più incazzosi e tormentati supereroi firmati Marvel non è proprio da Ang Lee, che ci ha abituati, nel corso della sua variegata filmografia, a storie corali e profonde come “Ragione e sentimento”, “Tempesta di ghiaccio” e i successivi “Brokeback Mountain” e “Lussuria – Seduzione e tradimento”.
A testimoniare che Lee è un regista che ama variare e non ha paura di accettare sfide sempre diverse, è sopraggiunto nel 2003 “The Hulk”, trasposizione cinematografica incentrata sulle movimentate e catastrofiche gesta del gigante verde, versione un tantino incazzata dello scienziato Bruce Banner.
Due sono le caratteristiche predominanti in questa opera del regista taiwanese: la prima consiste nella profonda riflessione attuata sull’aspetto caratteriale di Bruce Banner e sul suo alter-ego; al ‘mostro’ verde è stata fornita un’anima, prova emozioni, non è solo un grosso pezzo di carne che distrugge tutto quello che tocca come faceva nei telefilm degli anni ‘70; bè, non è qui sia proprio un angioletto, tutt’altro, ma la sua rabbia non è gratuita, e più che rabbia, la sua è sofferenza, causata da traumi infantili repressi che ci vengono ben raccontati nel film.
La seconda, invece, riguarda l’aspetto puramente tecnico della pellicola, non tanto gli effetti speciali, certamente notevoli, ma lo stile appassionato e di sicuro non timido e/o piatto, come lo è quello della restante moltitudine di action-movie Hollywoodiani, attuato da Lee.
Da notare sono soprattutto il ripetuto uso dello split-screen come richiamo della tavola a fumetti e per mostrare le emozioni dei personaggi da più angolazioni e lo stile alternativo del montaggio che sostituisce gli stacchi frenetici che si ripetono ogni due secondi tipici degli action-movie Hollywoodiani con innovativi e curiosi effetti di transizione.
Tutto ciò è più che apprezzabile, ma forse, almeno nell’ambito in cui ci troviamo dove vige, ingiustamente, la legge del commercio e i registi sono influenzati dalle avide e fastidiose mani dei produttori, la voglia di sperimentare da parte di Ang Lee risulta talvolta fuori luogo e non va sempre d’accordo con la necessità da parte di questo tipo di storia di sfogare le proprie pulsioni commerciali.
Questi due aspetti, esattamente come due campi magnetici, in questo caso si respingono, al punto di dare vita ad un’opera imperfetta, non impeccabile dal punto di vista narrativo ma assai originale e riuscita per quanto riguarda il reparto tecnico di cui si parlava prima.
Una variazione sul tema per i supereroi trasposti su celluloide, che magari può non convincere, ma da cui traspare una qualità indiscutibile.
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