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Scritto da Andrea De Luca   
lunedì 25 agosto 2008

L'isola perduta
Titolo originale: The Island of Dr. Moreau
USA: 1996 Regia di: John Frankenheimer Genere: Fantasy Durata: 96'
Interpreti: Marlon Brando (Dottor Moreau), Val Kilmer (Montgomery), David Thewlis (Edward Douglas), Fairuza Balk (Aissa), Marco Hofschneider (M’Ling), Ron Perlman (Iena), Nelson De La Rosa (Mijai), Temuera Morrison (Azazello)
Sito web:
Nelle sale dal: In dvd
Voto: 5,5
Trailer
Recensione di: Andrea De Luca

lisolaperduta_leggera.jpegA seguito di un incidente aereo avvenuto nel mare di Giava il naufrago Edward Douglas, funzionario in missione di pace per l’Onu, è miracolosamente salvato da un imbarcazione nel cui equipaggio è presente il misterioso Montgomery, il quale si occupa delle sue cure. La nave fa tappa su un’isola sperduta e Montgomery persuade Douglas a rimanere. Douglas viene a sapere che sull’isola abita un famoso scienziato premio Nobel per la genetica, il quale da diciassette anni conduce insieme a Montgomery esperimenti innovativi che altrove non avrebbe potuto effettuare. Dopo esser stato rinchiuso come prigioniero in una stanza, Douglas intuisce qualcosa di strano e, spinto dalla curiosità, riesce a evadere nella notte per esplorare il luogo finché capita in un laboratorio dove strane creature stanno facendo partorire un essere abominevole. Egli cerca la fuga aiutato dalla figlia del dottor Moreau ma si imbatte in una folla di mostruosi uomini-bestia che per poco non l'uccidono. Ritrovato da Montgomery e Moreau in persona, viene ricondotto al rifugio, dove il dottore gli spiega che da anni lavora febbrilmente a un tipo di ricerca mai tentata prima: l'umanizzazione di creature animali per mezzo di incroci genetici per creare la razza perfetta priva di ogni istinto malvagio. Le bestie-uomini da lui create adorano il dottore come un Dio padre, obbligate anche dal fatto che egli è in grado di controllarli tramite un microchip impiantato sotto la loro pelle che rilascia una scarica elettrica paralizzante.
Ma una volta che una delle bestie, Iena, scopre da dove arriva il dolore, si libera del microchip e dà inizio a una ribellione che dà sfogo all’istinto animale da troppo tempo represso degli abitanti dell’isola.
Quest’ennesimo adattamento cinematografico dello splendido romanzo del 1895 di Herbert George Wells, L’isola del dr. Moreau, vuole rendere omaggio ai cento anni di uno dei romanzi più riusciti dello scrittore inglese, considerato uno dei padri del romanzo di fantascienza, in grado di fondere pensiero scientifico e le fantasie più macabre e accattivanti. Ciò che colpisce di più dello scrittore è la sua capacità di introdurre a fine ottocento tematiche all’avanguardia se non futuristiche per l’epoca, che ancora oggi rimangono estremamente attuali come la manipolazione genetica, il controllo delle razze e delle malattie; egli presagisce un ventesimo secolo in cui scienza e progresso vengono erette a verità indiscutibili, a discipline divine, e all’orizzonte riesce a scorgere già il destino dell’uomo che con grande arroganza persegue queste credenze dimenticandosi di tutte le conseguenti implicazioni: l’autodistruzione.
Infatti quest’opera può considerarsi anche un solido strumento di analisi sociale e morale. Il film dovrebbe contenere, attualizzandola, questa inquietante polemica contro la volontà dell’uomo di sostituirsi a Dio, ma ci riesce soltanto in parte, soprattutto nella parte iniziale e nei rari confronto del Dr. Moreau con Douglas, il quale rappresenta lo scetticismo dell’etica, mentre il resto del film è condotto tutto sul piano spettacolare, calcando la mano su inseguimenti e omicidi gratuiti, sull’esibizione di fenomeni da baraccone e cacce continue in stile action movie. Le morti sono esibite con una leggerezza così disarmante che sembra che nemmeno il regista creda nella veridicità dei suoi personaggi e i caratteri sono sviluppati in maniera così approssimativa che non ci dispiacciamo affatto per la loro morte oppure non destano curiosità per le loro sorti future.
Il proibitivo compito di trasporre le atmosfere misteriose e i personaggi per metà uomini per metà bestie sullo schermo è affidato questa volta a John Frankenheimer, regista che spesso si occupa nei suoi film dei vari aspetti più disumani dell’uomo. Il romanzo di Wells infatti offre il destro per dirigere un altro film che si dimostra una critica della società - soprattutto nel messaggio finale delle immagini di violenza nel mondo quotidiano che si ricollega alla scena iniziale della zattera nell’oceano dove tre naufraghi si scannano per una borraccia -, una società in cui spesso non si riesce a distinguere la differenza tra la bestialità dell’uomo e quella animale. Ma la mirabile qualità degli effetti speciali e del trucco, soprattutto per un irriconoscibile Ron Perlman nella parte di Iena, contribuisce a sviare l’attenzione dello spettatore da tematiche troppo profonde e ad aumentare il livello spettacolare del film, e non poteva essere altrimenti visto che la produzione si avvale di Stan Winston, pluripremiato creatore di famosi personaggi, mostri e creature cinematografiche con la tecnica degli animatronic – lavora ad esempio a Terminator e Jurassic Park - e che anche in questo film prova a ergersi a star focalizzando sulle sue creature gli sguardi attoniti e sbalorditi dello spettatore che si chiede come abbiano fatto a crearle più che chiedersi qual è il senso di questo film.
Tuttavia all’ottimo trucco non consegue una giusta coordinazione dei personaggi, troppo spesso ammassati a casaccio davanti alla macchina da presa e inseriti in contesti poco credibili, il che li fa risultare grotteschi come burattini fini a se stessi. Il tutto provoca l’effetto di divertire il pubblico più che inquietarlo.
La stessa critica va mossa a Marlon Brando per il suo modo di rendere il Dr. Moreau non un folle sadico e malato di cui aver paura, ma un nonno benevolo, buffo e giocherellone come un bambino, agghindato con trucco da diva sul viale del tramonto, il cui peso ormai sempre più importante contribuisce ad acuire questa percezione di uomo i cui intenti non possono che esser nobili. Tutto questo porta il film sulla strada di certo sbagliata della comicità o, peggio ancora, della difficoltà di collocazione in un genere.
Paradossalmente il Dr. Moreau pur essendo il “cattivo” risulta essere l’unico personaggio la cui morte desta dispiacere, ma è un dispiacere provocato solo dal fatto che a morire è Brando e con lui se ne va il grande attore con la sua presenza scenica indiscutibile ed il suo inossidabile magnetismo per cui lo si vorrebbe sempre veder recitare dall’inizio alla fine. In questo suo ruolo di padre despota, che tanto bene aveva proposto nell’indimenticabile Il Padrino, utilizza la forza per reprimere gli istinti più animaleschi delle sue creature. Come in un regime dittatoriale egli vuole creare l’ordine instillando paura e dolore nelle creature ma allo steso tempo crea dipendenza e si fa amare donando composti di droghe e sedativi al suo popolo.
Vuole eliminare la malvagità facendo del male.
Il suo obiettivo dichiarato è creare l’essere perfetto ma i suoi sono vaneggiamenti. Infatti riesce solo a creare dei mostri ammaestrati succubi di una legge da seguire pena il dolore. Ma quando chi comanda non è più in grado di dare dolore, perde il controllo della legge e come in un regime di repressione più si reprime più si spinge ad accumulare quella rabbia che alla prima occasione sfocia con forza inversamente proporzionale alla gravità della repressione, le creature capiscono l’inganno del microchip e si ribellano.
La scienza si dimostra impossibilitata a reprimere le forza base della natura, la quale ha creato l’uomo per essere libero di pensare e di vivere civilmente, e l’animale per vivere seguendo i propri istinti.
Disperato risulta il tentativo di attirare il target più ampio di pubblico possibile inserendo una ragazza - una Fairuza Balk peraltro brava ed adatta al ruolo - ed un’improbabile storia d’amore col protagonista Douglas, storia non presente nel romanzo e che alla fine giunge ancor più difficile da capire visto che poi la stessa ragazza viene fatta morire con altrettanto disinteresse di quanto riesce a provocarne lo stesso personaggio.
Può essere salvata la prestazione di un convincente David Thewlis come protagonista e finalmente non solo caratterista, nonchè quella di un misterioso e malvagio Val Kilmer, da sempre, fin dai tempi dell’indimenticabile Jim Morrison in The Doors, a suo agio nella parte dell’allucinato, del solitario misterioso e maledetto.
Infatti da sempre risulta meno credibile quando recita nella parte del buono senza difetti, parte in cui spesso tra l’altro è ultimamente relegato da particine che non gli rendono giustizia.
Il film risente anche del solito problema di dover adattare in un’ora e mezza un romanzo di successo, ricco di particolari. Di questo film restano alcune scene e l’aspetto spettacolare degli uomini bestia, che come rovescio della medaglia rendono il film più uno spettacolo circense, mentre è l’idea di fondo di Wells riguardo la polemica etico-filosofica e morale, che il regista per altro ha sparso qua e là cercando di non perdere il filo del ragionamento, che andava approfondita. Per esser sicuro che al pubblico arrivi almeno un messaggio finale, Frankenheimer, forse non troppo convinto di aver approfondito queste tematiche che dovevano emergere da sé dalla storia, inserisce alcune immagini esplicative finali che sollevano la domanda: dov’è la differenza tra quell’isola sperduta e il mondo odierno? Spesso sembra che l’uomo perda ogni capacità di ragione dando sfogo ai suoi bassi istinti animali, quindi la malvagità umana scomparirà mai dalla faccia della terra o riemergerà sempre perché condizione inestirpabile dall’animo umano?
La domanda è retorica e non dà risposte, ma solleva uno di quei problemi affrontati in modo approfondito da Wells su cui bisognava insistere dall’inizio, per non rendere un film dal grande potenziale così lacunoso e superficiale.


 
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