Moonacre - I segreti dell'ultima luna
Titolo originale: The Secret of Moonacre
Ungheria, Regno Unito, Francia: 2008 Regia di: Gabor Csupo Genere: Fantasy Durata: 98'
Interpreti: Ioan Gruffudd, Dakota Blue Richards, Tim Curry, Natascha McElhone, Juliet Stevenson, Augustus Prew, Andy Linden, Michael Webber, George Mendel, Sandor Istvan Nagy
Sito web: www.lesecretdemoonacre.fr
Nelle sale dal: 12/06/2009
Voto: 5
Trailer
Recensione di: Dario Carta
L'aggettivo ideale: Scialbo
Londra,1840. La tredicenne Maria Merryweather (Dakota Blue Richards) resta orfana di madre e padre e si trasferisce con la sua istitutrice Miss Heliotrope (Juliet Stevenson) dallo zio Benjamin Merryweather (Ioan Gruffudd),uomo dal carattere tutt’altro che affettuoso,proprietario di un antico castello nella contea di Moonacre.
Il rapporto fra la giovane e l’uomo non è facile e le cose peggiorano quando Sir Ben sequestra alla nipote il suo unico bene ereditato dal padre:un antico libro sulle “Cronache della Valle di Moonacre”.
Riuscito a reimpossessarsi del libro,Maria scopre che su quella valle incombe una maledizione dovuta ai rancori fra le due famiglie residenti:i Merryweather e i DeNoir.
La giovane è l’ultima principessa che può salvare la valle dall’incantesimo malefico che grava sulla sua famiglia e i vicini alla cui testa sta il malvagio Coeur (Tim Curry) e per fare questo dovrà restituire le perle della luna al mare,prima della cinque millesima luna.
L’ispirazione ad opere letterarie indirizzate ai lettori dell’età adolescenziale,ha portato in tempi recenti ad una nutrita somministrazione di trasposizioni cinematografiche dei lavori di fantasia di stampo onirico-avventuroso.
Progenitore ante-litteram del filone,il leggendario Mago di Oz,porta con sé una numerosa discendenza di pellicole di genere,da parte di tutte le Major hollywoodiane prima fra tutte la Metro,con un picco che vedeva negli anni ’50 una commistione con il musical (Brigadoon) e con un sensibile aumento di una diversificata produzione in questi ultimi anni,quasi a voler tradurre il desiderio adolescenziale di restare intrappolato nel suadente fascino di un sogno che,catturata l’anima dell’uomo-bambino,non le permetta un facile ritorno alle spigolose realtà quotidiane.
Il regista ungherese Gabor Csupo (“Un ponte per Terabithia”) porta sullo schermo un adattamento del romanzo “The Little White Horse” scritto dalla gallese Elizabeth Goudge nel 1946 e apparentemente modello cui la J.K. Rowlings si sarebbe ispirata per la sua fortunata saga di Harry Potter.
Il regista elabora una classica pellicola di fantasia dai colori sbiaditi,che non si integra in un prodotto andato a buon fine e si perde in un vaporoso racconto dal sapore stucchevole.
L’intento evidente di esaltare il valore della famiglia come nucleo imprescindibile da salvaguardare e difendere,si dissipa in un farraginoso impegno narrativo di spietata lentezza ove gli eventi procedono nella fioca luce della noia,smarrendosi in una melensa monotonia priva di ritmo.
Prestando omaggi ad illustri predecessori,da “Il labirinto del Fauno “ a “Legend”,da “Labyrint” a “Un ponte per Terabithia” sempre di Csupo,senza peraltro raggiungerne una minima porzione di valore tecnico o artistico,questo debole sussurro di storia al femminile non partecipa dell’interesse dello spettatore,che non sente chiamare ad appello le proprie emozioni di adolescente o persona adulta.
Mescolando gli elementi propri della letteratura per l’infanzia e del cinema di fantasia,il bosco,il libro,i segreti e i misteri celati in una antica magione ai margini della foresta simbolo dell’oscura inquietudine dell’inesplicabile,
il film perde il suo obiettivo e resta al livello del proprio titolo,cioè di una esile cronaca,ma ben lontana dalle Storie Infinite di viaggi in Paesi lontani o dalle saghe di Narnia innervate da un ben diverso potere magico.
Qui,il mondo dell’immaginazione resta ai margini e i protagonisti si trascinano con esasperante lentezza in un polveroso racconto senza energia ,dipinto in colori soffusi e opachi che incipriano immagini pigre e statiche dove il senso di magia si scioglie in un mieloso impasto di soporiferi stilemi.
Stelle cadenti,frazioni di diciture francesi,unicorni e leoni neri,perle magiche,castelli e paure ancestrali non si trasfigurano in una fiaba dal sapore antico e di ampio respiro,ma appaiono rigide significazioni enciclopediche estratte tout court dal dizionario dei film di genere.
La sceneggiatura risente di una massiccia dose di fastidiosa retorica,il montaggio è frammentato in segmenti narrativi inaccessibili alla più volenterosa delle intenzioni e l’esposizione degli avvenimenti si dissolve ben presto in un nulla immaginifico.
Poveri anche gli effetti visivi e le scarne scenografie,ma una lancia va spezzata in favore per la speciale attenzione rivolta ai costumi.
Nella banalità espressiva dei protagonisti affiora un particolare rammarico per Tim Curry,dotato attore di cinema e teatro,ma che qui consuma la sua splendida mimica in una sciapa interpretazione di villain da operetta di provincia.
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