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Scritto da Dario Carta   
venerdì 09 marzo 2012

Colour from the Dark
Titolo originale: Colour from the Dark
Italia: 2008. Regia di: Ivan Zuccon Genere: Horror Durata: 92'
Interpreti: Debbie Rochon, Michael Segal, Marysia Kay, Gerry Shanahan, Eleanor James, Matteo Tosi, Alessandra Guerzoni, Emmet Scanlan
Sito web ufficiale: www.ivanzuccon.com
Sito web italiano:
Nelle sale dal: 09/03/2012
Voto: 7
Trailer
Recensione di: Dario Carta
L'aggettivo ideale: Benvenuto
Scarica il Pressbook del film
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colourfromthedark_leggero.pngBenvenuto al cinema bello,quello schietto,nuovo e italiano e che le emozioni le regala davvero. Benvenuto,bentornato meglio,a chi il cinema lo sa far girare,nelle sale o nei soggiorni poco importa,ma lo sa valorizzare in un genere che oggi si perde in una deriva di significati e contenuti,qual'è il cinema dell'orrore.
Italiano all'anagrafe,ma professionalmente più internazionale,Ivan Zuccon è quel regista un po' sfuggito ad un' Italia distratta,che ha saputo crearsi un'identità in America per la sua passione sullo scrittore di Providence H. P. Lovecraft,cui si è ispirato per trasporre sullo schermo una buona dose delle sue opere,in titoli come ""The Darkness Beyond" (2000),i successivi "Unknown Beyond" (2001) e "The Shunned House" (2003),fino a quest'ultimo "Colour From the Dark" nel cassetto dal 2008,tratto dal romanzo "The Colour Out of Space".

Benvenuto a Zuccon sui tappeti rossi dei lavori ben fatti,magari nei silenzi dei media,nelle spallucce dei critici o fuori dai riflettori delle recensioni da botteghino quotidiano. Zuccon è un uomo nell'ombra,noto ad un pubblico eletto di affezionati alla paura,ma poco incontrato nel circuito dello spettacolo al box office,eppure fortemente talentuoso e portatore di pregevoli doni al cinema del brivido. E chi vedrà "Colour From the Dark" non potrà che verificarlo.

Resta da guardarlo con concentrazione,questo suo ultimo lavoro,per capire quanto il regista si distanzi dalle forme standard del genere cui il film appartiene per penetrare i luoghi profondi della paura,senza far rumore,senza sprechi di mezzi e con la voce bassa di chi sa raccontare le storie agli altri ricevendone in cambio l'attenzione. 1943. Italia.
Pietro (Michael Segal) e la moglie Lucia (Debbie Rochon) vivono in un casolare nella campagna italiana,strappando una faticosa esistenza dai terreni coltivati. Con loro c'è Alice (Marisia Kay),sorella autistica di Lucia,fragile preda di paure e angosce,la cui unica compagnia è la bambola Rosina.
E' proprio Alice ad incontrare per prima il Colore che viene dall'oscurità del pozzo dove il suo secchio è caduto.
Nel tentativo di riportarlo in superficie Pietro,muovendo l'acqua,risveglia un'entità malevola che si diffonde all'esterno come un vapore colorato. Tutto comunque sembra passare inosservato. Pietro non crede e sdrammatizza,prova ne sia che il raccolto è incredibile,lui smette di zoppicare e perfino Alice riesce a formulare qualche parola.
Ma presto le cose volgeranno al peggio,la verdura marcisce,i sonni sono disturbati da incubi e Lucia pare posseduta da una forza maligna e sconosciuta. Non si fa alcuna fatica ad entrare nel film fin dalle sequenze in apertura. Il primo viso è quello di una bambola dalle fattezze inquietanti,gli occhi sgranati in un sorriso allarmante,una bocca cucita nel silenzio e gli arti abbandonati all'incertezza che la avvolge come la notte.
La bambola è tenuta in mano da una ragazza in preda all'ansia e altrettanto muta,la cui paura sonda le tenebre di una campagna inquieta in cerca di qualche cosa di terribile. E di paura questo incipit ne è stracolmo.
La sequenza è quasi un'orribile fiaba mormorata nella quiete innaturale della notte che avvolge una ragazza forse folle,forse posseduta da un terrore da cui non sa liberarsi.

L'apertura è bellissima,di un fascino quasi perverso,terribile e viscerale,raro dono ad un cinema avaro di emozioni e qui elegante opera di incubi e ossessioni.
Zuccon stravolge con l'entusiasmo della passione ma con genialità la fantasia di Lovecraft,mutando l'elemento alieno dell'originale - un'aura misteriosa che avvolge nel colore della morte la realtà di una fattoria del New England - in uno spirito ossesso che chiama a sè entità demoniache e respiri extraterrestri,invasando uomini e natura con un maleficio che porta con sè il seme della morte.
Lunghi silenzi,dialoghi accennati,colori desaturati,fotografia da dizionario,inquadrature mai sprecate,scenografia dell'eccellenza,si compongono in un equilibrio da cinema di tutto rispetto,dove nulla è fuori posto e il racconto parla con la voce calma di una regia che sa cosa dire e come dirla.

Zuccon è capace di trasmettere nelle sue immagini il dolore sordo dell'orrore che non grida,non ha volto e non tocca,ma si muove strisciando nei bianchi e neri che si mescolano ai pallidi colori dell'incertezza. L'occhiata di "Colour" all' "Esorcista" di Friedkin è accertata - inadeguato lo sputo al Crocifisso - ma il film gode di una solida identità propria resa viva da immagini e inquadrature da cinema speciale,fra le quali i tre successivi primi piani della testa di Lucia,riversa e ossessa con una perfetta messa a fuoco sullo sfondo su cui si muove la figura sbigottita di Don Mario (Matteo Tosi),in bilico fra la porta e la stanza,in un lacerante contrasto fra perdizione e salvezza.
Questa testa,messa in primo piano,parla come il corpo intero di una persona distorta e guastata dal male che la divora. Zuccon fa parlare nel suo film dualismi e antitesi,realtà maligne in contrapposizione alle speranze - l'apparente guarigione di Pietro,i frutti della terra gonfi e maturi,le poche parole di Alice che esce dal silenzio,tutto verrà stravolto - in un doloroso conflitto che si fa voce narrante dell'eterna lotta fra luce e buio.
Mille particolari danzano nel film come piccole candele nella penombra,dando voce al racconto in un vocabolario ricco di sfumature,immagini e allusioni,come le mosche sul viso stravolto di Lucia,ombre della presenza avversaria,o le insistenti inquadrature sul Crocifisso e sul vino,i simboli della salvezza che vigila sulla casa minacciata dal pozzo che la vuole inghiottire.

Benvenuto a Zuccon,che ha saputo imparare da Pupi Avati l'arte di raccontare il brivido con un cinema che penetra nella pelle e lavora da dentro,senza muoversi troppo o prodigarsi nei sortilegi virtuali dello spettacolo da schiamazzo,ma genera le sue immagini nel silenzio irrequieto che crea la paura,come il buio da cui nascono i fantasmi.

 
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