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Scritto da Anna Maria Pelella   
mercoledì 16 ottobre 2013

Titolo: Dark Touch
Titolo originale: Dark Touch
Francia, Irlanda: 2013. Regia di: Marina de Van Genere: Horror Durata: 90'
Interpreti: Marie Missy Keating, Marcella Plunkett, Patraic Delaney, Catherine Walker, Richard Dormer, Charlotte Flyvholm, Art Parkinson, Mark Huberman, Olga Wehrly, Robert Donnelly
Sito web ufficiale:
Sito web italiano:
Nelle sale dal: Sitges 2013 in concorso
Voto: 7
Trailer
Recensione di: Anna Maria Pelella
L'aggettivo ideale: Abusato
Scarica il Pressbook del film
Dark Touch su Facebook

dark_touch_leggero.pngNeve è una bambina undicenne che vive con la famiglia nelle campagne irlandesi.
Una notte scappa dalla sua camera da letto e viene accolta dai vicini, successivamente la sua casa viene assalita e la famiglia sterminata.
Momentaneamente alloggiata dai vicini, Neve mostra tutti i segni di un grave squilibrio su cui i suoi nuovi genitori affidatari decidono di indagare.

Neve è una bambina, una notte scappa di casa, ma a quell’età gli incubi sono frequenti e sulle prime nessuno dà peso ai suoi capricci, del resto i suoi genitori sono due bravissime persone, anche se un tantino inquietanti.
La famiglia che vive accanto a quella di Neve però non dimentica la notte in cui la ragazzina è stata ritrovata scarmigliata e insanguinata nel loro giardino, motivo per cui appena la ragazza si trova da sola a causa di un non meglio precisato incidente che l’ha lasciata orfana, decide di prendersene cura e darle una casa, sia pure momentanea.
Comincia così la difficile convivenza tra una comune famiglia rurale e una bambina muta e senza nessuna voglia di cedere ad alcuno stimolo affettivo, né di aprirsi al racconto di un passato doloroso.
Ma alcuni incidenti accaduti in paese subito dopo quello in cui la famiglia di Neve ha perso la vita, richiamano l’attenzione dell’assistente sociale e dell’insegnante di Neve, i quali a mano a mano si troveranno davanti a una situazione inaspettata e pericolosa.

Marina de Van non è nuova a suggestioni dal lato oscuro, i suoi precedenti film In My Skin e Don’t look back hanno in comune un certo gusto per i misteri dell’animo, sussurrati all’orecchio dello spettatore con una sottile grazia ossessiva e insistente.
In questo suo nuovo lavoro il centro del racconto è il labile filo che separa la fantasia infantile e il desiderio degli adulti di non guardare a fondo nell’abisso che a volte si spalanca appena sotto la crosta della realtà quotidiana.
La narrazione è su più livelli e a un primo sguardo quello che appare è una ragazzina problematica e una famiglia sterminata da una situazione inspiegabile.
Successivamente, grattando la superfice del felice borgo di campagna isolato e autosufficiente, si inciampa subito nelle insinuazioni della regista sulla natura umana, tanto più inquietanti in quanto totalmente immotivate.
Neanche per un attimo quello che lo spettatore si trova a scoprire verrà spiegato, ed è solo in conseguenza di atti incomprensibili a un bambino che l’intera catena di reazione verrà innescata. Neve è solo l’ultimo anello di una situazione antica e mai spiegata, che però miracolosamente non è certo il più debole, ed è grazie alla sua ritrovata forza che i bambini perduti dell’intero villaggio troveranno voce.

Metà Carrie e metà il recente romanzo di Lindqvist Una Piccola stella, Dark Touch assomma in sé tutti i canoni del ritorno del rimosso e cesella con sottile maestria il desiderio di dare voce a chi non può averla mai. Marina de Van usa tutti gli strumenti a disposizione: dapprima insinua, poi rivela e alla fine urla una situazione terribile e mai risolta che, seppellita sotto il manto di buona educazione e repressione sociale, finisce per suppurtare e esplodere in maniere mille volte più violente di come era partita. La buona prova dell’intero cast, con una menzione speciale per l’inquietante Missy Keating, una Neve impeccabile e algida, rende comprensibilmente attuale la definizione di “perverso polimorfo” a suo tempo postulata da Freud e mai più confutata da nessuno.
Neve, come manifesto e segno di tutto quello che viene abusato e scartato dopo l’uso, non è che un granello nell’ingranaggio di un sistema più grande di lei, ma inspiegabilmente acquisisce una forza tale da dare voce a tutti quelli che, prima di lei hanno incontrato la sua stessa sorte, e non hanno mai potuto neanche parlare delle ingiustizie subite, non fosse altro che per la mancanza di un nome da dare alle cose di cui non si sa nulla.
Il villaggio come paradigma di tutto quello che è facile seppellire in un meccanismo ben collaudato è certo una buona metafora di cose che col tempo, a forza di venire seppellite, marciranno e corromperanno la buona terra che le ha amorevolmente custodite. E sarà troppo tardi allora per metterci sopra un tappeto e continuare a fare finta di nulla

 
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