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Gli uccelli PDF Stampa E-mail
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Scritto da Biagio Giordano   
mercoledì 01 luglio 2009

Gli uccelli
Titolo originale: The birds
USA: 1963 Regia di:Alfred Hitchcock  Genere: Horror  Durata: 120'
Interpreti: Rod Taylor, Jessica Tandy, Suzanne Pleshette, Tippi Hedren, Veronica Cartwright, Ethel Griffies, Charles McGraw, Ruth McDevitt, Lonny Chapman, Joe Mantell, Doodles Weaver.
Sito web:
Nelle sale dal: 1963
Voto: 9
Trailer
Recensione di: Biagio Giordano

Gli uccelli Molte sono state le analisi critiche e numerosi i commenti appassionati che hanno dato seguito a questo originale Horror degli anni ’60, toccando sia gli  aspetti formali e filosofici della pellicola sia quelli  etici e di costume, tuttavia rimane ancora tanto da dire su questo film, che è certamente un po’ particolare, fuori com’è dai modi usuali di Hitchcock di rappresentare la realtà, un film che ha fatto epoca non tanto  per il successo al botteghino quanto per la trasgressione a ogni regola stilistica e contenutistica allora dominante nel genere horror.
Rileggendo questi scritti occorre dire che le diverse analisi che li costituiscono  hanno sofferto di  enfasi, risultando spesso eccessive,  impetuose, poco lucide rispetto alla necessità oggettiva di definire con una certa chiarezza il rapporto tra il film e il contesto storico che lo ha generato. 
Probabilmente esse non sono riuscite a scrollarsi di dosso la cappa grigia di un’era densa di eventi drammatici che sollecitavano prese di posizione e schieramenti precisi nel mondo delle idee, al fine di rafforzare un fronte di opinione cinefila funzionale ai poteri mediatici  di  maggior influenza di massa.
A volte del film sono state date interpretazioni equilibrate ma soggettive, arbitrarie, giocando sulla molteplicità di idee a cui spingono le strutture stesse della  metafora e dell’allegoria, molto presenti nel film, che di per sé, per loro natura, non si piegano a un significato univoco ma sfociano, se non se ne intendono i limiti, se cioè non si capiscono le loro sorgenti storiche e letterarie, nella  visionarietà più illogica. 
Sorprende come le numerose spiegazioni e gli accesi commenti suscitati dal film non siano mai riusciti a convergere su un tema critico principale, su qualcosa cioè che, opportunamente approfondito, fosse in grado di svelare la natura filosofica più profonda del film, la tessitura significante principale che lo struttura, quella via che lo illumina sul senso più inconfessato, accessibile solo attraverso uno studio sistematico della pellicola.
Forse solo adesso è possibile intendere al meglio questo film, coglierne le diverse logiche, le più importanti, quelle presenti in alcune sequenze sceniche chiave o quelle un po’  trascurate dalla critica, esorcizzate per non disturbare uno dei pensieri dominanti all’epoca di Hitchcock,  quello legato in qualche modo a idee di tipo filosofico-mediatico, schematiche,  divulgative, che rimanevano ancora prigioniere di un concetto di scienza e di etica poco differenziato, quasi mitico, funzionale a trasmettere, tramite i media, una confortevole visione del mondo che veniva regolarmente contraddetta, quasi quotidianamente, da avvenimenti di estrema gravità sociale e politica, mai del tutto dimenticati.
Oggi probabilmente di questo film si può  valutare con più lucidità anche la sua qualità narrativa, i suoi meccanismi più complessi e reconditi, costruiti per quel noto gioco di svago filmico, proposto dal mercato cinematografico, capace, se se ne intendono le logiche, di soddisfare i desideri più inconsapevoli, inconsci dello spettatore, giocando non tanto sull’ estetica narrativa simile al romanzo quanto su prerogative visive impostate sull’attesa, cioè sul : “ cosa accadrà adesso?” (David Mamet, in I tre usi del coltello). Un gioco di grande successo, proprio del cinema, interagente con il reale, da cui non può sfuggire perché riflette nella finzione le questioni umane e sociali presenti in un certo periodo storico.
Indubbiamente Gli uccelli è il film cult di Hitchcock, quello che più di tutti ha fatto pensare in termini filosofici, dandoci oltre al piacere dello spettacolo noir, di cui il regista inglese era un vero maestro, l’occasione per meditare sul futuro più immediato, con  pensieri astratti, di rara bellezza poetica e filosofica.
La pellicola fa riflettere sulle paure e le ansie di tutta un’epoca, sui suoi valori e pregiudizi più diffusi, resi trasparenti, afferrabili dagli spettatori con l’immaginario più comune e la logica della ragione, grazie agli strumenti  psicanalitici e letterari inseriti nella narrazione, sempre disposti a dosi giuste,  funzionanti come  esche  della ragione assopita dalla proiezione-ipnosi, interagenti con il filo principale del racconto nel giusto equilibrio, quasi invisibili.
La pellicola è stata girata in California, tra San Francisco e la baia di  Bodega Bay, interamente a colori, con l’aiuto di una scenografia degli sfondi in parte disegnati a mano, forse schizzati dallo stesso Hitchcock che ha iniziato la sua carriera come disegnatore cinematografico; un allestimento scenico di buon effetto anche se oggi farebbe inorridire gli spettatori più  affezionati al cinema post-moderno, ai suoi grandi risultati tecnologici che ricostruiscono la realtà in modo straordinario.
Hitchcock ha tratto suggerimenti  e ispirazioni per le sue creazioni narrative dal famoso libro The bird di Daphne Du Maurier uscito nel 1953.
Sorprendentemente il film fa a meno di una vera e propria colonna sonora, rinunciando quindi a contrastare le scene drammatiche e di forte violenza con il tradizionale accompagnamento consolatore, un motivo musicale melodioso che ammortizza l’impatto con l’orrido.  Hitchock elabora al suo posto, come in un normale spartito, suoni e rumori tipici degli uccelli, amplificandone  i toni, esaltando ulteriormente l’effetto drammatico della narrazione, lasciando lo spettatore sguarnito di fronte ai spaventosi attacchi dei pennuti, solo, privo di ogni sostegno psichico musicale. Ciò lascia intendere come Hitchcock a volte non riuscisse a controllare del tutto il suo sadismo inconscio, il  giustizialismo più cupo, le cui cause vanno forse ricercate in un suo oscuro coinvolgimento nei valori cristiani più retrogradi e medievali.
Da sottolineare come alla fine della pellicola, non compaia la parola The End, forse perché Hitchcock non voleva proporre un finale risolutivo, una conclusione chiara e univoca, bensì  lasciare in sospeso tutta l’evoluzione degli eventi, questo per favorire negli spettatori un lavoro di immaginazione personale, fatto di fantasie più prolifiche,  in un certo senso utili, capaci di indovinare, anche solo per ipotesi, quello che sarebbe potuto accadere nell’immediato futuro.
Con un finale tradizionale, in grado di dare al dramma una soluzione e uno scioglimento  meta psicologico del tutto positivo, idoneo cioè a scaricare le tensioni accumulate lungo lo scorrere degli episodi, si sarebbe corso il rischio di trasformare il film dal genere horror a una science fiction, una fantascienza ibrida, dissociata nei temi, banale, di scarsa qualità sia nella sceneggiatura che nei contenuti, con messaggi etici di fondo grossolani, avulsi da un contesto storico preciso, concreto, allontanando il film dallo stile e dal pensiero filosofico più pregnante del famoso regista inglese.
Il finale non poteva chiudersi in soluzioni rassicuranti o liberatrici, catartiche, capaci di espiare un senso di colpa inconscio a lungo promosso, indotto dalla narrazione, pena la rottura con tutto ciò che il racconto aveva costruito in precedenza in termini di drammatizzazione, di credibilità emotiva, di apprensione, se ciò si fosse verificato si sarebbe spento, all’uscita dalla sala, il desiderio dello spettatore di fantasticare ancora sul  senso della pellicola, di  proiettare cioè nel futuro pensieri e fantasticherie accese dall’immaginario.
Hitchcock è riuscito nel non facile compito di coinvolgere lo spettatore nella sua soggettività più profonda, inconscia, dandogli la possibilità, finito il film, di continuare a pensarlo mettendo in campo le sue raffigurazioni più personali, le sue immagini più vive; è riuscito cioè a creare negli spettatori un film esclusivo proveniente dall’inconscio  interagente con il film in sala.
Lo spettatore si chiede, finito il film in sala, cosa  sarebbe potuto accadere in seguito ai personaggi? Precisamente dopo il trasporto di Melanie, ferita dagli uccelli, all’ospedale sant’Anna di San Francisco? Viste le premesse catastrofiche della pellicola, dell’evoluzione irrazionale degli eventi, rimasta insoluta,  sarebbe stato probabilmente qualcosa di spaventoso, che avrebbe tolto ogni  speranza in una soluzione della guerra dell’uomo contro gli uccelli; i 100 miliardi di uccelli di 8600 specie diverse, secondo i dati forniti dalla anziana ornitologa nel film, avrebbero potuto infatti decimare gran parte della popolazione mondiale lasciando gli eventuali sopravvissuti nell’incertezza  assoluta e nell’angoscia più desolante. Il futuro prospettato dal film era destinato quindi a presentare una civiltà distrutta, di difficile ricostruzione.
Chiaro è il riferimento metaforico del film alla bomba atomica, a un attacco nucleare molto esteso,  globale, ritenuto allora non del tutto improbabile, che avrebbe sterminato gran parte della popolazione mondiale con ordigni provenienti  dal cielo, all’improvviso, come accade nel film  quando gli uccelli piombano minacciosi sull’uomo dall’alto senza lasciare traccia per spiegazioni psicologiche, biologiche, naturali dell’accaduto.
Negli anni ’60 il pericolo di una guerra atomica planetaria era molto sentito, il mondo era diviso in due blocchi contrapposti, sempre minacciosi tra di loro, diffidenti e ostili in ogni dichiarazione ufficiale, con mediocri forme di diplomazia, e non passava giorno che non si verificassero incidenti politici tra le nazioni appartenenti alle diverse ideologie, mettendo seriamente in pericolo la stabilità del sistema globale. 
Il film per l’importanza che detiene nella storia del cinema e per la tipologia catastrofica del soggetto, che appare ben idonea a soddisfare una  diffusa domanda fantastica di massa, ha ispirato anche un remake, con Naomi Watt, che sta per uscire nelle sale cinematografiche in questi giorni.
Rivedere The birds  fa uno strano effetto, è come ripercorrere per allegorie qualcosa di grave che attraverso il cinema è effettivamente accaduto nel tempo coinvolgendo negli anni ’60 l’immaginario di tutto un mondo cinefilo appassionato al genio di Hitchcock e propenso a vivere gran parte delle proprie speranze nel fantastico, in quell’immaginativo creativo capace di trasformare in letteratura, in forme di bellezze stilistiche, gli aspetti più drammatici della vita reale, rispecchiando con film e romanzi lo spirito di un’epoca più che mai ferita e  mortificata dalle paure atomiche e da divisioni ideologiche molto aspre, nette, spesso sfocianti in omicidi barbari e inutili che tendevano a togliere ogni speranza per il futuro.
Ecco allora che l’idea dell’attacco generalizzato degli uccelli all’uomo assume come soggetto filmico un significato particolare che va per forza di cose oltre lo spettacolo visivo richiamando pulsioni ed emozioni più buie, grigie, ben presenti in quegli anni nell’immaginario collettivo, fornendo al film  per la sua finzione una materia psichica reale, autentica.
Il film inizia con una lunga ripresa dall’alto di San Francisco invasa dai gabbiani che sembrano già preannunciare qualcosa di oscuro, una misteriosa minaccia proveniente dal cielo; la telecamera scende poi nei pressi di un incrocio pedonale situato tra le due maggiori vie della città, e segue Melanie (Tippy Hedren), una donna molto elegante, che si reca con un po’ di fretta in un noto negozio di uccelli per ritirare una coppia di pappagalli da tempo prenotati. La sua bellezza ed eleganza non passa inosservata, la donna viene fatta oggetto, da alcuni sconosciuti, di fischi di approvazione che lei accetta sorridendo. Prima che Melanie entri nel negozio  Hitchcock, come sua abitudine lascia la sua firma nel film, e lo vediamo uscire elegantemente dalla bottega con un’aria signorile, da finto snob, severo, con al guinzaglio  due piccoli cani bianchi.
Mentre Melanie aspetta solitaria due pappagalli dall’India che stanno per arrivare,  entra nel negozio l’avvocato Mitch che sembra scambiarla per la titolare e gli chiede due pappagalli dal nome inseparabili, uccelli molto piccoli richiesti così perché le loro effusioni d’amore non turbano i bambini intorno agli 11 anni (siamo nell’America puritana). Sono per la sorella di Mitch come regalo per il suo compleanno.

Melanie sa poco di ornitologia  ma finge lo stesso di essere un’esperta di uccelli mostrando però inevitabilmente delle vistose lacune e incertezze nell’individuare le gabbie di appartenenza, in realtà gli inseparabili in negozio non ci sono, ma tra i due nasce un dialogo ironico, un po’ acceso nei toni e anche sarcastico che risulterà essere il frutto di un’antipatia e nello stesso tempo un’attrazione di Mitch per la donna, nota figlia snob del proprietario di un grande giornale di San Francisco, conosciuta in tribunale dall’avvocato in un processo dove la donna era accusata di aver infranto con l’automobile una vetrina di cristallo per puro divertimento.
Mitch entrando in negozio aveva riconosciuto la donna fin dall’inizio e voleva farle uno scherzo per darle una specie di lezione morale, frustrandone l’aria un po’ snob. Quando Mitch se ne va Melanie prende il numero di targa e riesce a risalire all’indirizzo dell’uomo tramite alcune sue conoscenze negli uffici della motorizzazione, la donna ha deciso di portargli due inseparabili prenotati, a casa sua, sperando di aprire un dialogo amoroso.
Melanie si reca all’indirizzo di San Francisco richiesto, ma Mitch Brenner non risulta in casa, un vicino notata la gabbietta degli uccelli la invita a recarsi a Bodega Bay un paese su una baia a due ore dalla città, luogo dove l’avvocato trascorre i giorni di riposo settimanale con la madre Lidia Brenner e la sorella Katy Brenner .
Giunta in paese, Melanie  porta nella casa dei Brenner i due pappagallini, senza essere vista da Mitch, lo fa arrivando nei pressi dell’abitazione attraverso la baia, con una piccola barca a motore presa in affitto. Posati i due pappagalli in una stanza della casa, rimasta incustodita, Melanie ritorna in barca, si mette  a carponi sul fondo del natante, per non essere vista, e incurante dello stropicciamento della pelliccia cerca di godersi la scena di stupore di Mitch quando scoprirà il regalo.

Mitch arriva e rimane sorpreso del regalo, esce precipitosamente dall’abitazione guardandosi intorno allarmato, scorge l’imbarcazione di Melanie riuscendo a intravederla, Mitch fa segno alla donna di averla riconosciuta, al che lei si affretta a ritornare indietro inseguita lungo la costa dall’automobile di Mitch.
Giunta nei pressi del molo di attracco e spento il motore viene assalita da un grosso gabbiano che la colpisce vicino a una tempia facendola insanguinare. Soccorsa da Mitch, che ha visto tutto, viene condotta nel Bar-ristorante di Bodega Bay dove riceve alcune cure, nel frattempo fa conoscenza con la madre di Mitch, Lidia e in seguito con la ex fidanzata Annie maestra delle scuole elementari del paese.
Durante la festa di compleanno di Katy, sorella di Mitch, i bambini invitati che giocavano nel cortile, vengono assaliti da diversi uccelli, particolarmente aggressivi, che costringono i Brenner a sospendere la festa.
Alla sera, durante la cena che vede riunita la famiglia Brenner e Melanie, un nugolo di fringuelli si espande all’improvviso dal caminetto verso la sala aggredendo le persone.
Dopo una dura resistenza i volatili si disperdono ma le autorità ancora non credono ad un attacco sistematico degli uccelli e pensano trattarsi di episodi sporadici provocati da cause non del tutto chiaribili che non escludono responsabilità e colpevolezze  umane.
Quando però un giorno i corvi assalgono, all’uscita dalla scuola,  gli alunni bambini, ferendone gravemente qualcuno, tutti cominceranno a capire di essere di fronte a un attacco generalizzato di volatili di diverse specie contro l’uomo, condotto con una inspiegabile intelligenza e lunghe pause tra un assalto e l’altro che creano grandi apprensioni d’attesa. Nessuno riesce a capire perché.
Nel frattempo la commedia d’amore e famigliare tra Mitch e Melanie e la madre Lidia con Melanie, che fino a quel momento andava parallela alla minaccia proveniente dal cielo, e che era caratterizzata da diversi attacchi di gelosia di Lidia verso Melanie, comincia a stemperarsi, lasciando il posto al dramma imposto  dagli uccelli che obbliga i personaggi a trovare soluzioni per sopravvivere..

 
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